Battaglia di Lissa
scontro navale tra la marina austriaca e quella italiana, nella terza guerra d'indipendenza / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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La battaglia di Lissa fu uno scontro navale nell'ambito della terza guerra d'indipendenza italiana e si svolse il 20 luglio 1866 sul mar Adriatico nelle vicinanze dell'isola omonima, tra la Kriegsmarine, la Marina da Guerra dell'Impero austriaco e la Regia Marina del Regno d'Italia. Fu la prima grande battaglia navale tra navi a vapore corazzate e l'ultima nella quale furono eseguite deliberate manovre di speronamento.
Battaglia di Lissa parte della terza guerra d'indipendenza italiana | |||
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La Re d'Italia affonda dopo essere stata speronata dalla Erzherzog Ferdinand Max, nave ammiraglia di Tegetthoff | |||
Data | 20 luglio 1866 | ||
Luogo | Mar Adriatico, nei pressi dell'isola di Lissa, oggi Croazia | ||
Esito | Vittoria austriaca | ||
Schieramenti | |||
Comandanti | |||
Effettivi | |||
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Perdite | |||
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La battaglia rientrò nella guerra austro-prussiana, in quanto l'Italia all'epoca era alleata della Prussia a sua volta in guerra contro l'Impero austriaco. L'obiettivo principale italiano era quello di conquistare il Veneto sottraendolo all'Austria e scalzare l'egemonia navale austriaca nell'Adriatico.
Le flotte erano composte da navi di legno a vela e vapore e navi corazzate anch'esse a vele e vapore. La flotta italiana, costituita da 12 corazzate e 17 vascelli lignei, superava la flotta austriaca, composta da 7 navi corazzate e 11 in legno. Una sola nave, l'italiana Affondatore, aveva i cannoni montati in torri corazzate invece che lungo le fiancate (in bordata). Entrambe le marine mostravano un'impreparazione più o meno marcata sul piano tecnico, ma in quella italiana, oltre alle deficienze tecniche, vi erano gravissimi problemi di coesione tra i comandanti e uno scarso addestramento degli equipaggi.
Il giovane Regno d'Italia, allo scopo di conquistare gli ultimi territori della penisola ancora in mano all'Impero asburgico, aveva stretto un'alleanza militare con la Prussia di Bismarck, che mirava a riunificare gli Stati tedeschi in un'unica nazione sotto la propria guida, dichiarando guerra all'Austria il 20 giugno 1866. Il 24 giugno l'esercito austriaco sconfisse quello italiano a Custoza, ma il 3 luglio successivo gli austriaci subirono una devastante sconfitta a Sadowa da parte dei prussiani.
Nel frattempo aveva avuto luogo anche la mobilitazione della flotta. Il 3 maggio 1866 il generale Diego Angioletti, Ministro della Marina, aveva comunicato al contrammiraglio Giovanni Vacca, comandante la Squadra d'Evoluzione con base a Taranto, che il governo aveva decretato di costituire un'Armata d'Operazioni, ovvero una flotta da battaglia, articolata su tre squadre di cui una composta da navi corazzate (posta sotto il comando del comandante in capo della flotta, ruolo per cui era stato designato l'ammiraglio Carlo Pellion di Persano), una squadra sussidiaria composta da navi da guerra in legno (al cui comando sarebbe stato destinato il viceammiraglio Giovan Battista Albini) e una squadra d'assedio anch'essa composta da corazzate (al comando della quale sarebbe stato lo stesso Vacca)[3]. Le pirofregate corazzate Re d'Italia, Principe di Carignano, San Martino, Regina Maria Pia, la cannoniera corazzata Palestro, la pirofregata ad elica Gaeta e la nave avviso Messaggiere si trovavano a Taranto[4], mentre le pirocorvette corazzate Formidabile e Terribile, la pirocorvetta a ruote Ettore Fieramosca e la cannoniera ad elica Confienza erano ad Ancona[3]. Altre unità si trovavano in varie basi italiane e diverse corazzate erano appena state consegnate dai cantieri di costruzione. A Taranto vi era solo una ridotta quantità di carbone, mentre ad Ancona ve n'era una scorta molto più consistente.
Dopo la sua nomina, Persano era giunto ad Ancona il 16 maggio 1866 e si era presto reso conto della situazione di impreparazione della flotta: dal 18 al 23 maggio e poi ancora il 30 maggio aveva più volte informato il ministro della Regia Marina Angioletti dell'impossibilità di approntare l'armata in tempi brevi, poi, non avendo ottenuto nulla, aveva cercato, dopo aver pensato ad eventuali dimissioni, di preparare la flotta nei limiti del possibile compiendo alcune manovre di squadra[3]. Vacca collaborò alla preparazione della flotta, mentre Albini, ostile a Persano, diede scarsa collaborazione[3]. L'8 giugno 1866 l'ammiraglio Persano ricevette le prime disposizioni che ordinavano di neutralizzare la flotta austriaca, fare di Ancona la propria base di operazioni in Adriatico, e non attaccare Trieste e Venezia[3]; non era chiaro chi avrebbe dovuto impartire gli ordini a Persano, se il generale Alfonso Lamarmora, Capo di Stato Maggiore Generale del Regno d'Italia interessato alle sole operazioni terrestri, oppure il ministro Angioletti[3]. Il 20 giugno 1866, con l'insediamento del governo Ricasoli, Angioletti fu sostituito nel ruolo di Ministro della Marina da Agostino Depretis, che il giorno stesso ordinò a Persano di spostarsi con la flotta da Taranto ad Ancona; lo stesso giorno anche Lamarmora si limitò ad invitare l'ammiraglio ad entrare nell'Adriatico[3]. Persano fece accendere le caldaie alle navi in grado di partire e ordinò che Formidabile e Terribile lasciassero Ancona e si unissero al resto della flotta nell'Adriatico meridionale[3], in modo da rafforzare la squadra in mare. La formazione navale lasciò Taranto nella mattinata del 21 giugno 1866, fu raggiunta da Formidabile e Terribile nelle acque di Manfredonia e arrivò ad Ancona il pomeriggio del 25 giugno[3]. Il trasferimento avvenne ad una velocità di cinque nodi per non sforzare troppo le macchine, anche se ciò non eliminò del tutto le avarie[3].
Dato che il porto di Ancona, sprovvisto di bacino di carenaggio, era in grado di ricevere poche unità, il resto della flotta dovette ormeggiarsi a corpi morti preparati in rada, procedendo poi alle operazioni di carbonamento, ostacolato da incendi scoppiati sulla Re d'Italia e sulla Re di Portogallo[3]. Fu inoltre stabilito che molte unità in legno avrebbero ceduto parte dei propri cannoni alle corazzate, in modo da dotarle del maggior numero possibile di moderni cannoni a canna rigata da 160 mm[3][5]. Le unità corazzate Castelfidardo, Regina Maria Pia, Re d'Italia, Re di Portogallo, Principe di Carignano, San Martino e Varese ricevettero rispettivamente 20, 16, 12, 12, 8, 8 e 4 cannoni a canna rigata[6]. Solo quattro bocche da fuoco (consegnate a Castelfidardo e Varese) provenivano dai depositi di Napoli, le rimanenti furono prelevate da altre unità: la Principe di Carignano ricevette 16 cannoni da Formidabile e Terribile (otto da ciascuna unità), mentre la San Martino, avendo solo otto pezzi rigati da 160 mm, li ricevette dalla pirofregata Duca di Genova[7]. Il 26 giugno 1866 Persano inviò la veloce nave avviso a ruote Esploratore a pattugliare le acque antistanti Ancona[3].
La situazione della Regia Marina
Le navi
Negli anni successivi all'unità d'Italia e alla costituzione della Regia Marina era stato avviato un programma di costruzioni che avrebbe dotato la recentissima marina italiana di un buon nucleo di unità corazzate[3]. Non essendo l'industria cantieristica italiana sufficientemente sviluppata, si ordinarono le nuove unità a cantieri navali stranieri. Seguendo la politica di Cavour, che prevedeva di allacciare rapporti economici con diverse nazioni, le unità erano state ordinate a cantieri di più stati: il nucleo più numeroso, di otto unità (4 pirofregate corazzate classe Regina Maria Pia, 2 pirocorvette corazzate classe Formidabile, 2 cannoniere corazzate classe Palestro), fu costruito nei cantieri Forges et Chantiers de la Méditerranée di La Seyne-sur-Mer, in Francia; due pirofregate corazzate (classe Re d'Italia) nei cantieri statunitensi William H. Webb di New York; e l'ariete corazzato Affondatore nei cantieri Millwall Iron Work and Shipbulding Company di Londra[3]. Una sola unità, la pirofregata corazzata Principe di Carignano, era stata progettata e costruita nel cantiere della Foce a Genova.
Il risultato di tale decisione era un gruppo di unità eterogenee, non poche delle quali afflitte da difetti di varia origine[3]. Le pirocorvette corazzate di costruzione francese Formidabile e Terribile, progettate come batterie corazzate semoventi (e pertanto concepite per operare in acque costiere e non contro altre navi)[8][9], erano state trasformate in pirocorvette a costruzione in corso e consegnate con un anno di ritardo[10], risultando così di scadenti qualità nautiche (secondo gli ufficiali che vi prestarono servizio le unità faticavano a mantenere il posto in formazione a meno di non trovarsi in condizioni meteomarine ideali[10]), oltre che dotate di scarsa corazzatura[3]. Le pirofregate corazzate Re d'Italia e Re di Portogallo erano dotate di potenti e moderne artiglierie a canna rigata, ma avevano gravi punti deboli nella mancanza di protezione del timone, nella corazzatura che proteggeva solo in parte l'opera viva (difetti che si rivelarono poi fatali a Lissa per la Re d'Italia), e nell'apparato motore, che in meno di due anni (dal 1864 al 1866) si deteriorò al punto da causare la riduzione della velocità massima da 12 a 8-9 nodi[3]. Dopo la sua consegna alla Regia Marina, infatti, la Re d'Italia, costruita negli USA, era rimasta in cantiere per altri quindici mesi per lavori alle caldaie, ed era inoltre risultato che era stata costruita con legno di cattiva qualità[10], ma la cosa era stata rilevata troppo tardi per rifiutarne la consegna dal cantiere statunitense.
Le due unità della classe Palestro, Palestro e Varese, erano dotate di corazzatura ma, essendo cannoniere, avevano armamento e velocità troppo contenuti (la Varese sviluppava solo 6 nodi, contro i 10 previsti dal progetto[10]) per poter essere impiegate in operazioni di squadra[3]. Solo la parte centrale dello scafo, circa un quarto della sua lunghezza totale, era corazzata, e proiettili e polvere da sparo erano trasportati dai depositi al ponte di batteria attraverso zone della nave prive di protezione[10]. La Principe di Carignano risentiva del fatto di essere stata progettata e impostata come pirofregata ad elica in legno, per poi essere trasformata in unità corazzata con l'applicazione di piastre di ferro durante la costruzione[3]. Le quattro pirofregate corazzate della classe Regina Maria Pia erano invece unità di discrete caratteristiche, sostanzialmente alla pari con le unità austroungariche[3], anche se non esenti da problemi: l'Ancona, ad esempio, sviluppava una velocità massima di 12,5 nodi invece dei 13,5 di progetto[10]. In sostanza, la mancanza di velocità di molte unità italiane limitava la capacità di reazione in combattimento da parte della squadra, anche perché le unità erano ripartite in divisioni non omogenee per velocità e potenza di fuoco, e questo avrebbe potuto essere ovviato solo con una strettissima disciplina nella manovra, sia nel mantenere la formazione di battaglia, sia nel reagire a mosse avversarie che non fossero un semplice defilamento di bordo.
L'Affondatore era una nave molto avveniristica per i suoi tempi, avendo come armamento, invece di 20-30 cannoni disposti in batteria sulle fiancate, due soli cannoni da 254/30 mm, di notevole calibro per l'epoca, collocati in due torrette girevoli, una a prua l'altra a poppa[3]. Dopo la consegna, avvenuta con enorme ritardo rispetto ai tempi previsti[11], l'Affondatore aveva tuttavia posto in evidenza vari problemi: l'apparato motore si era rivelato inadeguato a raggiungere la velocità massima di progetto di 12 nodi, e l'eccessiva lunghezza della nave (93,80 metri fuori tutto) rallentava la virata di bordo, facendole compiere un giro troppo ampio; il baricentro, inoltre, risultava troppo elevato, specie quando vi erano a bordo quantità ridotte di carbone e munizioni, e la disposizione delle feritoie della plancia corazzata impediva di avere una visione panoramica della zona circostante (tale difetto pesò nel mancato speronamento, durante la battaglia di Lissa, del pirovascello austriaco Kaiser)[3].
Ufficiali ed equipaggi
Altri problemi derivavano dalla composizione e dalla preparazione di stati maggiori ed equipaggi[3]. Essi provenivano dall'unificazione di marine differenti (principalmente la Marina del Regno di Sardegna e la Real Marina del Regno delle Due Sicilie, nonché, in misura molto minore, la Marina Granducale di Toscana e la Marina Pontificia), nel cui ambito erano stati privilegiati soprattutto gli ufficiali sardo-piemontesi, cosa che provocò il risentimento degli ufficiali di altra provenienza in conventicole regionali e alcune rivalità tra di loro[3]. Altre divisioni erano di natura linguistica, essendo ancora molto in uso i dialetti regionali[12]. Un ulteriore conflitto era in atto tra la fazione «modernista» e quella «tradizionalista» (nel 1862 il Ministro della Marina, generale Luigi Federico Menabrea, aveva pianificato la costruzione di 12 pirovascelli e di 12 tra pirofregate e pirocorvette, tutte in legno, ma tale programma era stato bloccato da Carlo Pellion di Persano, suo successore fino al dicembre 1862)[3]. Inoltre, il conte di Cavour, paventando la diffusione di idee ritenute eccessivamente democratiche, aveva annullato le promozioni conferite da Garibaldi (ed appoggiate da Persano) ad ufficiali che avevano aderito alla causa unitaria non per interesse personale (una parte degli ufficiali borbonici, nonché altri provenienti dalla disciolta Marina veneta costituitasi nel 1848), promettendo invece promozioni ad altri ufficiali di provenienza borbonica (tra di essi il contrammiraglio Giovanni Vacca), che avevano intuito che i garibaldini non sarebbero stati ben visti sul piano politico[3]. Diversi ufficiali, anche di grado elevato, erano valutati non idonei al comando di moderne unità corazzate, e, a causa della rapida evoluzione degli apparati motori e delle artiglierie, gran parte del personale, specie tra i macchinisti ed i cannonieri, non aveva una sufficiente preparazione tecnica[3]. In particolare, in seguito alla chiusura della scuola d'ingegneri meccanici di Pietrarsa, la Regia Marina dovette ingaggiare del personale esterno per il funzionamento delle macchine delle proprie unità[3]. La carenza di ufficiali costrinse a richiamare in servizio ufficiali ormai a riposo e a promuovere d'ufficio al grado di guardiamarina 87 allievi dell'Accademia Navale[4].
Tali problemi, sulle corazzate di recente costruzione, erano amplificati dalla recente consegna: in particolare, il 30 maggio 1866 Persano, dopo aver preso coscienza della situazione della flotta italiana di stanza a Taranto, aveva rilevato che le pirofregate corazzate Castelfidardo e Ancona avevano solo un terzo dei sottufficiali previsti, e un solo cannoniere su 160[3] (la situazione non migliorava comunque di molto sulle unità in legno: la pirofregata Maria Adelaide disponeva di 9 cannonieri su 64 previsti[4]); inoltre, il personale di macchina delle navi Palestro, Varese e Ancona (le unità erano ancora nel periodo di garanzia) era costituito da macchinisti francesi del cantiere di costruzione e questi non erano disponibili ad essere coinvolti in operazioni belliche tra potenze straniere[3]. Alcuni giorni prima Persano, passato ad altro incarico, aveva comunicato al Ministro della Marina, generale Diego Angioletti, che la flotta avrebbe necessitato di almeno tre mesi prima di essere considerata in condizioni accettabili di partecipare ad una battaglia, ma il ministro aveva replicato riferendo che anche il Regio Esercito aveva i suoi problemi, e successivamente l'ammiraglio valutò anche l'ipotesi di dimettersi, venendo però dissuaso dal principe di Carignano[3]. Due unità in legno, la pirofregata Vittorio Emanuele e la pirocorvetta San Giovanni, risultarono completamente sprovviste di macchinisti, tanto da potersi trasferire da Taranto ad Ancona solo tre giorni dopo il resto della squadra[3]. Ulteriori problemi si manifestarono dopo il trasferimento della flotta ad Ancona, avvenuto tra il 21 e il 25 giugno: sulla Re d'Italia e sulla Re di Portogallo si verificarono incendi provocati dalla polvere di carbone rimasta dalla precedente traversata oceanica dagli Stati Uniti, tanto che sulla Re di Portogallo, per circoscrivere le fiamme, fu necessario svuotare una stiva carbonaia, provocando un considerevole sbandamento[3]. In occasione della prima uscita in mare contro il nemico, verificatasi il 27 giugno 1866 in seguito ad una ricognizione in forze della flotta austriaca[13], i macchinisti francesi imbarcati sulla Palestro e sulla Varese abbandonarono le due unità, dovendo essere sostituiti da personale della nave ospedale Washington, mentre sull'Ancona si verificò la defezione del primo macchinista e di tre secondi meccanici, mentre un quarto meccanico rimase a bordo solo con la promessa del dono di un anello di brillanti da parte del comandante dell'unità[3]. Nel giugno del 1866 diciotto macchinisti dovettero essere arruolati dalla Regia Marina in Francia[4].
Difficili rapporti vi erano infine tra i comandi superiori[3]. Il generale Diego Angioletti, Ministro della Marina (poi sostituito in tale carica poco prima della battaglia navale di Lissa da Agostino Depretis), non era in buoni rapporti con l'ammiraglio Persano a causa delle critiche che questi gli aveva mosso quale senatore, e Angioletti per ripicca aveva assegnato a Persano, come capo di stato maggiore, il capitano di vascello Edoardo D'Amico, molto vicino al conterraneo Vacca, anche lui in pessimi rapporti con Persano tanto da comunicare con questi per interposta persona. Persano avrebbe invece voluto per quel ruolo il capitano di fregata Amilcare Anguissola[3]. Malgrado l'incidente verificatosi nel 1853, quando la pirofregata Governolo al comando dello stesso Persano e con a bordo il Re, si incagliò al largo della Maddalena[3], Vittorio Emanuele II non fece mancare il suo appoggio all'ammiraglio, lo chiamò nel 1855 come suo aiutante di campo onorario; l'anno dopo lo nominò, per particolari benemerenze ufficiale dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro[14]. Entrambi i sottoposti di Persano, il viceammiraglio Giovan Battista Albini e il contrammiraglio Giovanni Vacca erano ostili sia al loro superiore, sia tra di loro[15], avendo entrambi desiderato il comando della flotta[3]. Albini, in particolare, si riteneva superiore sia a Persano, sia a Vacca, era contrario all'intera operazione contro Lissa e anche alle corazzate (pur essendosi al contempo reso rancoroso dal fatto che un ufficiale di grado inferiore, Vacca, avesse ottenuto al posto suo il comando di una squadra di tali unità, da lui richiesto), sulle quali volle poi, a Lissa, far ricadere tutto il peso della battaglia, cui non partecipò[3]. Vacca, anche lui non in buoni rapporti con Persano, era risentito per essere stato privato del comando della Squadra d'Evoluzione, con la sua incorporazione nell'Armata d'Operazioni[4]. Nessuno degli ammiragli aveva mai partecipato ad una battaglia navale: Persano e Albini avevano preso parte unicamente agli assedi di Ancona e Gaeta, operazioni non paragonabili ad uno scontro in mare aperto tra squadre da battaglia, Vacca non aveva preso parte nemmeno ad operazioni di tale genere[3].
La situazione austriaca
La österreichische Kriegsmarine era inferiore dal punto di vista numerico e del tonnellaggio complessivo, ma aveva un eccellente amalgama degli equipaggi, e il fulcro della squadra corazzata da battaglia erano le due nuovissime unità della classe Erzherzog Ferdinand Max, l'omonima nave e la SMS Habsburg: queste fregate corazzate da 5.130 tonnellate di dislocamento erano state varate tra il 1865 e il 1866, lo stesso anno della battaglia[16][17]; il loro armamento era leggermente differente, ma i pezzi singoli ad avancarica (16 o per altre fonti 18 sulla Ferdinand Max, 18 sulla Habsburg) della batteria principale, a canna liscia di tipo Armstrong da 180 mm con palla da 48 libbre, consentivano una bordata da 384 libbre[17]. La Ferdinand Max doveva essere dotata di due pezzi rigati da 8" (203 mm), prodotti dalla prussiana Krupp, ma l'embargo conseguente all'innalzarsi della tensione tra Austria e Prussia ne aveva bloccato la consegna[18]; la nave stessa era incompleta dal punto di vista della corazzatura e lo stesso Tegetthoff durante l'approntamento aveva fatto montare in cantiere la corazzatura solo sulla parte anteriore dello scafo, oltre a fare aggiungere un piccolo ponte davanti al fumaiolo dal quale dirigere le operazioni di speronamento; l'ammiraglio riteneva che, mancando dei pezzi pesanti da 8", l'arma principale della sua nave più efficace sarebbe stato lo sperone[18]. Inoltre la Ferdinand Max era stata scelta come nave ammiraglia al posto della fregata di legno Schwarzenberg, tanto preferita da Tegetthof, perché altrimenti il suo equipaggio avrebbe potuto non avere la dovuta fiducia nel mezzo a causa della sua incompletezza, così la presenza dell'ammiraglio a bordo doveva rassicurare tutto il personale a bordo. Molta cura e attenzione vennero poste durante le poche settimane che precedettero la battaglia nell'addestramento al tiro, nella manovra e nelle tattiche di combattimento da applicare da parte dei comandanti; Tegetthoff venne più volte sentito ripetere "una volta in battaglia, speronate qualunque cosa pitturata di grigio" facendo riferimento alla colorazione standard delle navi italiane, che si distinguevano dalle navi austriache dipinte di nero[18].
Le due pirocorvette corazzate della classe Kaiser Max portavano la stessa batteria principale da 16 cannoni da 48 libbre della Ferdinand Max oltre a 15 pezzi ad anima rigata da 24 libbre, mentre l'altra coppia di corvette, varata nel 1861, aveva 10 pezzi da 180 mm e 48 libbre ad avancarica, oltre a 18 pezzi da 150 mm ad avancarica con palla da 24 libbre[19].
Il comandante, Wilhelm von Tegetthoff, era stimato e rispettato dai suoi sottoposti e dal suo stato maggiore, e la squadra era in linea di massima con equipaggi al completo; a differenza delle sue controparti italiane lo stesso Tegetthoff, inoltre, poteva vantare una certa esperienza bellica, avendo comandato la squadra austriaca durante la battaglia di Helgoland nel maggio 1864 contro la Danimarca[20].
Le artiglierie
La Marina italiana aveva cannoni sia rigati sia ad anima liscia, tutti ad avancarica[21]. Ad anima liscia erano i cannoni da 80 libbre (nella Marina Italiana 1 libbra era pari a 0,369 kg,[22]) (203 mm) e da 40 libbre (165 mm), i cannoni obice da 20 cm (180 mm) e un cannone Dahlgren da XI pollici (279 mm). I cannoni ad anima rigata erano tutti da 40 libbre (165 mm) di due tipi, uno normale e uno cerchiato per permettere l'utilizzo di cariche di lancio maggiorate. Erano in corso di approvvigionamento quattro cannoni Armstrong rigati da 300 libbre (254 mm) ad avancarica, due montati sull'Affondatore e due montati sulla Re di Portogallo, dove però non potevano essere usati al meglio in quanto i portelli della nave erano dimensionati per pezzi di dimensioni minori[23]. Oltre a questi erano in approvvigionamento sei pezzi da 150 libbre (203 mm), che arrivarono ad Ancona solo il 6 luglio e furono destinati due alla Re d'Italia, due alla Palestro e due alla Varese; in entrambe queste cannoniere i nuovi pezzi ebbero limitazioni simili a quelle dei cannoni da 300 libbre sulla Re del Portogallo[24]. Allo scoppio della guerra i cannoni rigati e cerchiati erano installati sulle unità di legno, quindi, per evidenti motivazioni tattiche, furono trasferiti alle corazzate, che cedettero alcuni cannoni normali da 40 libbre; questa operazione era ancora in corso il 27 giugno 1866[25]. Gli equipaggi mancavano totalmente di addestramento alle nuove artiglierie, in quanto nel breve tempo fra l'installazione delle nuove armi e la battaglia non ci fu tempo per effettuare istruzioni di tiro con il nuovo armamento.
Il munizionamento italiano era a palle in ferro e palle in acciaio (piene) e a granate. Le palle d'acciaio, più pesanti e penetranti di quelle in ferro[26], erano state distribuite solo all'inizio delle ostilità con la raccomandazione di limitare il loro uso[27].
L'efficacia dei pezzi italiani contro le corazzature austriache limitava la distanza di ingaggio per i pezzi da 80 libbre a 200 m utilizzando le palle d'acciaio, mentre i pezzi rigati da 40 libbre potevano perforare nelle stese condizioni solo le corazzature di spessore minimo (10 cm). I cannoni lisci da 40 libbre e gli obici erano inutili contro le corazze, ma erano efficaci contro le unità in legno e contro le parti non protette delle navi corazzate, così come i cannoni di calibro maggiore quando usavano palle in ferro o granate.
L'armamento della squadra austriaca era confrontabile con quello italiano[28], quasi tutti i cannoni erano ad avancarica, alcuni dei quali ad anima rigata, ma la maggior parte ad anima liscia. Gli austriaci avevano ordinato alcuni moderni pezzi Krupp da 300 libbre. Nella Marina Austriaca 1 libbra era pari a 0,560 kg, vedi Antonicelli, nota 18, per armare le corazzate Ferdinand Max e Habsburg, che però, dato lo stato di guerra con la Prussia, non erano stati consegnati. I cannoni rigati erano pezzi a retrocarica Wahrendorff da 24 libbre (144 mm), totalmente inefficaci contro le corazze delle navi italiane; in genere erano montati su perni girevoli sui ponti di alcune navi, ma non in batteria. Oltre a questi cannoni, erano utilizzati cannoni tipo Paixhans, da 60 libbre (202 mm), in grado di sparare munizioni esplosive a tiro teso e cannoni da 48 libbre (191 mm) e da 30 libbre (164 mm), tutti ad anima liscia.
Sul munizionamento austriaco si hanno solo dichiarazioni slegate da parte di membri degli equipaggi che parlavano dell'imbarco, pochi giorni prima della battaglia, di proiettili di acciaio sulla corazzata Drache e sulla corvetta Novara.
Il 24 giugno 1866 il contrammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, comandante della squadra navale austriaca, aveva chiesto all'arciduca Alberto d'Asburgo-Teschen, comandante delle forze austriache impiegate sul fronte italiano, il permesso di compiere una puntata offensiva sulla sponda italiana dell'Adriatico per verificare l'effettiva presenza delle forze navali italiane, dato che pochi giorni prima il piroscafo avviso Stadion, inviato al largo di Ancona, non aveva trovato alcuna nave[29]. Avuta nel pomeriggio del 26 giugno risposta positiva da parte dell'arciduca Alberto[3], dopo essersi rapidamente consultato con i suoi sottoposti, Tegetthoff salpò immediatamente al comando di una squadra composta dalla pirofregata corazzata Erzherzog Ferdinand Max, dalle pirocorvette corazzate Prinz Eugen, Kaiser Max, Don Juan de Austria, Drache e Salamander, dalla pirofregata in legno ad elica Schwarzenberg, dalle pirocannoniere ad elica Hum, Streiter, Reka e Velebit e dalle navi-avviso a ruote Stadion e Kaiserin Elizabeth[3]. Quest'ultima procedeva in testa alla formazione ripartita su due file[3].
Tra le quattro e le cinque del mattino del 27 giugno 1866, l'Esploratore, che pattugliava le acque antistanti Ancona, avvistò fumo, al traverso, verso nord/nord-ovest, dove poco dopo fu in vista della formazione austriaca[3]. Dato che vi era l'errata notizia che in Adriatico si trovassero in quel momento anche una squadra navale francese e una britannica (ambedue neutrali), il capitano di fregata Paolo Orengo, comandante dell'Esploratore, decise di issare la bandiera italiana e avvicinarsi alla formazione sconosciuta per verificarne l'identità[3]. Giunto nelle vicinanze della Kaiserin Elizabeth, la nave-avviso italiana venne da questa bersagliata: l'unità austriaca, infatti, issò a sua volta la propria bandiera e tirò una bordata contro la nave italiana, ritenendo di aver messo a segno un colpo su una ruota a pale dell'Esploratore, mentre da fonti italiane sembra che la nave non abbia riportato alcun danno[30]). Dopo aver risposto al fuoco, l'Esploratore diresse a tutta forza su Ancona per informare l'ammiraglio Persano[3].
Giunto in vista della base, l'avviso segnalò che «il nemico dirige su Ancona», poi si portò accanto alla Re d'Italia, ammiraglia di Persano, a bordo della quale si trasferì il comandante Orengo per fare rapporto al comandante in capo[31]. Persano dispose la partenza di tutte le corazzate in grado di prendere il mare, ma problemi di varia natura immobilizzavano l'Ancona (il cui apparato motore era stato smontato ed era in corso di riparazione), la Principe di Carignano, la Formidabile, la Terribile (le ultime due stavano trasferendo alcuni cannoni rigati sulla prima, ricevendone in cambio altrettanti pezzi a canna liscia), la Re d'Italia, la Re di Portogallo (ambedue afflitte da incendi nelle stive carbonaie), la Palestro e la Varese (a causa della diserzione dei macchinisti francesi)[3]. Quindi solo la Regina Maria Pia, la Castelfidardo e la San Martino poterono immediatamente mollare gli ormeggi, seguite poco dopo dalla Principe di Carignano, che era tuttavia sprovvista dei cannoni in batteria. L'ammiraglio Persano, dato che la Re d'Italia, era bloccata dagli incendi, dovette trasbordare insieme allo stato maggiore sull’Esploratore[3]. L'avviso defilò quindi lungo la fila delle corazzate, mentre il capitano di vascello D'Amico indicava ad ogni unità, mediante il megafono, la posizione che avrebbero dovuto assumere nella formazione[3]. A tale formazione poterono poi aggiungersi alla spicciolata anche l'Ancona, la Formidabile, la Terribile, la Palestro e la Varese[3].
Verso le 6:30 le due formazioni giunsero in vista e la Regina Maria Pia, in testa alla formazione italiana, si ritrovò ad avere a tiro la Kaiserin Elizabeth che Tegetthoff aveva inviato in avanscoperta[3]. La corazzata italiana, però, non aprì il fuoco su ordine di Persano, che temeva che la nave potesse ritrovarsi a scontrarsi da sola con l'intera flotta austriaca[3].
Essendo sfumata la sorpresa, il contrammiraglio Tegetthoff decise di non dare battaglia e si ritirò: Persano si trasferì sulla Principe di Carignano, dove tenne rapporto insieme a Vacca, D'Amico, al capitano di vascello Corrado Jauch (comandante della nave) e al capitano di fregata Tommaso Bucchia (capo di stato maggiore di Vacca), decidendo alla fine di non inseguire le navi nemiche, viste le precarie condizioni della squadra italiana[3], che rientrò quindi integra ad Ancona[3]. Il ministro Depretis ritenne quella di Persano una scelta corretta, e fu soddisfatto che la squadra italiana, data la pessima situazione in cui versava, fosse riuscita a prendere il mare in breve tempo. Diversi ufficiali, invece, iniziarono a considerare Persano un pavido[3].
Questi, nel frattempo, nell'eventualità di una nuova puntata nemica, aveva dislocato al largo di Ancona cinque delle corazzate più veloci, al comando di Vacca, in funzione di sorveglianza e aveva proseguito ad effettuare manovre di squadra senza però compiere esercitazioni di tiro[29]. Il 4 luglio 1866 Depretis comunicò a Persano che la flotta avrebbe dovuto mantenere un atteggiamento difensivo, impegnandosi in combattimento unicamente se la vittoria fosse stata certa, ma l'indomani, contrariamente a quanto dichiarato, il ministro chiese all'ammiraglio quale fosse la situazione della flotta e quando questa sarebbe potuta partire[3].
Il brusco cambiamento d'opinione del Depretis era dettato dalle conseguenze della vittoria prussiana di Sadowa: l'imperatore austriaco aveva proposto al Regno d'Italia di cedere il Veneto a Napoleone III, che lo avrebbe poi a sua volta ceduto all'Italia, ma, dopo intense discussioni, il governo italiano aveva deciso di rifiutare, volendo conquistare il Veneto con le proprie forze[3][32]. Si era perciò iniziato a spingere verso un atteggiamento più aggressivo da parte delle forze armate italiane, e in particolare della Regia Marina: infatti, nella serata del 6 luglio 1866 un ufficiale del Ministero della Marina recapitò a Persano l'ordine d'operazioni, firmato il 5 luglio da Depretis[3][33]. Tali disposizioni ordinavano che la flotta italiana attaccasse quella austriaca in modo da ottenere il controllo dell'Adriatico[3]. In particolare, l'Armata d'Operazioni di Persano, qualora la flotta nemica si fosse divisa tra più basi (Trieste, Pola, Fiume, Lussino, Zara e Castel di Cattaro), si sarebbe dovuta a sua volta dividere in più formazioni che avrebbero dovuto operare il blocco navale di tali porti, rimanendo comunque in contatto in modo da evitare che, se più gruppi di navi austriache si fossero uniti, un singolo gruppo italiano non venisse sopraffatto[3]. Gli ordini prevedevano inoltre la conquista di Cherso e la distruzione dello scalo ferroviario di Aurisina in modo da interrompere le linee ferroviarie che univano Venezia, Trieste e Vienna[3]. Tali ordini non erano però esenti da contraddizioni: lo svolgimento di operazioni come gli attacchi a Cherso e Aurisina avrebbe disperso la flotta, impedendo uno scontro con forze navali nemiche, le quali peraltro avrebbero potuto evitare il blocco italiano partendo nottetempo[3].
Persano fece notare tali problemi a Depretis, ma alla fine l'ammiraglio acconsentì a salpare, lasciando Ancona l'8 luglio 1866[3] con la flotta quasi al completo (con l'eccezione di alcune unità minori, rimaste in porto[32]). L'avviso a ruote Sirena venne al contempo inviato ad una ventina di miglia da Ancona, in direzione di Porto San Giorgio (Prilovo) di Lissa, per comunicare l'eventuale uscita in mare delle unità austriache[3]. Persano dava per scontato che Tegetthoff sarebbe stato informato dallo spionaggio austriaco della partenza della flotta italiana da Ancona, e pertanto sarebbe uscito da Pola con la propria flotta; raggiunta Ancona all'alba del 9 luglio, l'avrebbe trovata sguarnita (la flotta italiana si sarebbe infatti trovata a circa 40 miglia al largo, non visibile) e avrebbe pertanto proseguito nel mancato attacco già tentato il 27 giugno[3]. In quel momento le navi di Persano sarebbero tornate ad Ancona, intrappolando quelle austriache tra la costa e la flotta italiana[3]. Tale piano, tuttavia, non ebbe modo di avverarsi perché Tegetthoff rimase in porto (pur essendo stato informato, il 10 luglio, della presenza di navi italiane a 25 miglia da Lissa e al largo dell'Isola Grossa[32]), e Persano, dopo aver incrociato in Adriatico dall'8 al 12 luglio, procedendo da nord verso sud ed evitando di avvicinarsi alla costa dalmata[32], rientrò ad Ancona senza aver ottenuto alcun risultato[3]. Questa infruttuosa azione alienò ulteriormente a Persano il favore degli stati maggiori e degli equipaggi, in buona parte convinti della sua codardia[34].