Costituzione della Repubblica Italiana
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La Costituzione della Repubblica Italiana è la legge fondamentale dello Stato italiano,[1] e si posiziona al vertice della gerarchia delle fonti nell'ordinamento giuridico della Repubblica. Considerata una costituzione scritta, rigida, lunga, votata, compromissoria, laica,[2] democratica e tendenzialmente programmatica, è formata da 139 articoli[3] e da 18 disposizioni transitorie e finali.[4]
Costituzione della Repubblica Italiana | |
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Prima pagina dell'originale della Costituzione custodito presso l'archivio storico della Presidenza della Repubblica Italiana | |
Stato | Italia |
Tipo legge | Legge fondamentale dello Stato |
Legislatura | Assemblea Costituente |
Schieramento |
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Promulgazione | 27 dicembre 1947 |
A firma di | Enrico De Nicola |
In vigore | 1º gennaio 1948 (76 anni) |
Testo | |
Costituzione della Repubblica Italiana |
Approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre seguente, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 298, edizione straordinaria, dello stesso giorno, ed entrata in vigore il 1º gennaio 1948, ne esistono quattro originali: uno presso l'archivio storico della Presidenza della Repubblica Italiana, uno presso l'archivio storico della Camera dei deputati, uno presso l'Archivio Centrale dello Stato[5] e uno presso la biblioteca del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università del Salento.[6]
Gli statuti preunitari
Il primo esempio in Italia di statuto costituzionale si ebbe a Palermo, quando il 18 luglio 1812 il Parlamento del Regno di Sicilia borbonico riunito in seduta straordinaria, promulgò la Costituzione siciliana del 1812, una carta sul modello inglese.[7] La Costituzione prevedeva un parlamento bicamerale formato da una Camera dei comuni, composta da rappresentanti del popolo con carica elettiva, e una Camera dei Pari, costituita da ecclesiastici, militari ed aristocratici con carica vitalizia. Le due camere, convocate dal sovrano almeno una volta l'anno, detenevano il potere legislativo, ma il re deteneva potere di veto sulle leggi del parlamento.[8] Fu soppressa di fatto nel dicembre 1816 con la nascita del Regno delle Due Sicilie.[9][10]
Nel 1848, con le rivoluzioni scoppiate durante la primavera dei popoli, furono concessi alcuni statuti dai sovrani di alcuni Stati italiani: quello napoletano; quelli del Ducato di Parma e dello Stato della Chiesa; quello albertino nello Stato sabaudo; mentre quello siciliano era non ottriato, dal francese octroyée, cioè non concesso dal sovrano.[11][12][13] Lo statuto napoletano, su ispirazione della Seconda Repubblica francese, prevedeva che il potere legislativo fosse condiviso tra re e Parlamento. In Sicilia, invece, si era formato un regno autonomo la cui Costituzione rendeva per la prima volta le due camere elettive mentre conferiva il potere esecutivo al re che lo esercitava per mezzo dei ministri responsabili, da lui nominati, che sottoscrivevano ogni suo ordine. Veniva riconosciuta la libertà di parola, di stampa nonché di insegnamento. Tale carta costituzionale era "rigida", in quanto per effettuare modifiche era necessaria una procedura aggravata che prevedeva il concorso di due terzi dei votanti presenti di ciascuna camera.[14]
Anche lo Statuto dello Stato della Chiesa conteneva norme simili alle altre carte coeve. Fatti salvi la dichiarazione della religione cattolica come religione di Stato e il potere di censura ecclesiastica preventiva sulle pubblicazioni religiose, erano recepite le libertà fondamentali del cittadino: la magistratura era indipendente dal potere politico, i tribunali speciali erano aboliti, era garantita la tutela della libertà personale e l'inviolabilità della proprietà. Per la prima volta nello Stato della Chiesa, i laici erano ammessi sia nel ramo esecutivo che legislativo. L'iniziativa legislativa apparteneva ai ministri, che erano di nomina pontificia. Le leggi erano formate tramite un sistema bicamerale perfetto, costituito dall'"Alto Consiglio" e dal "Consiglio dei Deputati".[15] I membri del primo erano nominati a vita dal pontefice, senza limitazione di numero, quelli del secondo erano eletti. Le leggi, dopo l'approvazione, dovevano essere controfirmate dal pontefice. Nell'esercizio delle loro funzioni i membri delle due Camere erano "inviolabili" e, se condannati, potevano essere arrestati solo con il consenso del Consiglio di appartenenza.[16]
Sempre nel 1848 Carlo Alberto di Savoia concesse nel Regno di Sardegna lo Statuto albertino, concessione che non venne revocata dal suo successore Vittorio Emanuele II, diversamente da quanto accadde nello Stato della Chiesa e nel Regno delle Due Sicilie.
Lo Statuto albertino fu simile alle altre costituzioni rivoluzionarie vigenti nel 1848: rendeva lo Stato sabaudo una monarchia costituzionale ereditaria secondo la legge salica, con concessioni di poteri al popolo su base rappresentativa. La sovranità apparteneva al re il quale, da sovrano assoluto, si trasformava in principe costituzionale per sua esplicita volontà e concessione, limitandosi nei suoi poteri. Era una tipica costituzione ottriata, ossia concessa dal sovrano, e da un punto di vista giuridico si caratterizzava per la sua natura flessibile, ossia derogabile e integrabile in forza di un atto legislativo ordinario.[17] Poco tempo dopo la sua entrata in vigore, proprio a causa della sua flessibilità, fu possibile portare l'Italia da una forma di monarchia costituzionale pura a quella di monarchia parlamentare, sul modo di operare tradizionale delle istituzioni inglesi.[18]
Lo statuto corrisponde a ciò che si definisce una "costituzione breve", limitandosi a enunciare i diritti e a individuare la forma di governo. Tra i diritti veniva riconosciuto il principio di uguaglianza, la libertà individuale, l'inviolabilità del domicilio, la libertà di stampa e la libertà di riunione. Il capo supremo dello Stato era il re e la sua persona era "sacra ed inviolabile", i ministri rispondevano giuridicamente per gli atti regi.[19] Il re era tuttavia tenuto a rispettare le leggi, ma non poteva essere oggetto di sanzioni penali. Egli esercitava il potere esecutivo attraverso i ministri, convocava le Camere, scioglieva quella dei Deputati e aveva il potere di sanzione delle leggi, istituto diverso dall'odierna promulgazione presidenziale, poiché il re valutava nel merito e poteva respingerle.[20] Inoltre, il re nominava autonomamente il Consiglio dei ministri e il Parlamento si limitava al potere legislativo; la prassi applicativa, tuttavia, sempre più spesso voleva che il Consiglio dei ministri si rifiutasse di restare in carica quando non gradito alla camera elettiva, così che il re fosse considerato più quale rappresentante dell'unità statale che come capo dell'esecutivo.[21][22]
Il Parlamento era composto di due Camere: il Senato subalpino, di nomina regia e vitalizia, e la Camera dei deputati, eletta su base censitaria e maschile. I progetti di legge potevano essere promossi dai ministri, dai parlamentari e dal re. Per diventare legge dovevano essere approvati nello stesso testo da entrambe le Camere e, in seguito, essere munite di sanzione regia. Per quanto riguardava il potere giudiziario, il re nominava i giudici e aveva il potere di grazia. A garanzia del cittadino stava il rispetto del giudice naturale e il divieto del tribunale straordinario, la pubblicità delle udienze e dei dibattimenti. I giudici, dopo tre anni di esercizio, avevano garantita l'inamovibilità, mentre gli era negata l'interpretazione delle leggi con rilievo direttamente normativo.[21][22][23]
Dall'unità d'Italia alla prima guerra mondiale
A seguito del Risorgimento e dell'unità d'Italia portata a compimento dal Regno di Sardegna (1861), la continuità costituzionale tra quest'ultimo e il nuovo Regno d'Italia avvenne tramite l'estensione dello Statuto albertino a tutti i territori progressivamente entrati a far parte del novo Stato nel corso delle guerre d'indipendenza. Dal punto di vista istituzionale, lo Stato unitario italiano nacque con la legge 17 marzo 1861 n. 4671, che attribuiva a Vittorio Emanuele II «re di Sardegna», e ai suoi successori, il titolo di «re d'Italia».[24] È la nascita giuridica di uno Stato italiano (anche se altri Stati avevano già portato il passato il nome di "Regno d'Italia", dal Regno longobardo per finire col Regno napoleonico). Lo Statuto albertino era rimasto quindi in vigore quasi esattamente 100 anni quando nel 1948 entrò in vigore la Costituzione repubblicana.[25]
Il primo Parlamento dello Stato unitario, al principio del 1861, si compose con un suffragio elettorale ristretto al 2% della popolazione[26] (corrispondente a 600000 cittadini) comprendendo ovvero solo i cittadini maschi con una data capacità contributiva; con la legge del 22 gennaio 1882, n. 999 il diritto di voto venne esteso anche a chi avesse la licenza scolastica elementare arrivando dunque a coinvolgere il 7% degli italiani, ovvero circa 2000000 su una popolazione di 28452000 cittadini.[27] Con la legge del 30 giugno 1912 n. 666 la percentuale degli aventi diritto salì al 23% della popolazione allargando il suffragio a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto 30 anni o che, pur minori di 30 anni ma maggiori di 21, avessero un reddito di almeno 19,20 lire, o la licenza elementare, oppure avessero prestato il servizio militare.[28] Infine, al termine della prima guerra mondiale venne introdotto, grazie alla legge del 16 dicembre 1918, n. 1985, il suffragio universale maschile ai maggiori di 21 anni o chi avesse adempiuto al servizio militare.[29]
Benché l'articolo 1 proclamasse il cattolicesimo religione di Stato, le relazioni fra la Santa Sede e lo Stato furono praticamente interrotte tra il 1870 e il 1929, per via della "questione romana".[30]
Il ventennio fascista
Al termine della prima guerra mondiale e con i conseguenti rivolgimenti, in Europa si assistette a una evoluzione del costituzionalismo che si concretizzò in diverse esperienze politiche come la Seconda Repubblica Spagnola o la Repubblica di Weimar,[31] ma in Italia non si verificò un processo analogo.
Anche a causa della mancanza di rigidità dello Statuto, ritenuto irrevocabile nei principi ma modificabile tramite legge in molte delle sue proposizioni,[20] con l'avvento del fascismo lo Stato fu gradualmente deviato verso un regime autoritario, ove furono stravolte le forme di libertà pubblica garantite fino ad allora: le opposizioni vennero bloccate o eliminate, la Camera dei deputati fu abolita e sostituita dalla "Camera dei fasci e delle corporazioni", il diritto di voto fu cancellato; diritti, come quello di riunione e di libertà di stampa, furono piegati in garanzia dello Stato fascista, mentre il partito unico fascista non funzionò come mezzo di partecipazione, ma come strumento di intruppamento della società civile e di mobilitazione politica pilotata dall'alto.[31]
Il fascismo non si dotò mai di una propria costituzione e lo Statuto albertino non venne mai formalmente abolito, sebbene le leggi e le azioni del governo dittatoriale lo svuotarono completamente nella sostanza.[31] Alcuni sostengono che lo Statuto fu violato già con la nomina di Mussolini a Presidente del Consiglio, ottenuta con la forza in quanto era allora rappresentante solo di una minoranza parlamentare.[32] I rapporti con la Chiesa cattolica vennero invece ricomposti e regolati tramite i Patti Lateranensi del 1929, che ristabilirono ampie relazioni politico-diplomatiche tra la Santa Sede e lo Stato italiano.[30]
Il 25 luglio 1943 Benito Mussolini venne estromesso dal governo del regno e il re Vittorio Emanuele III nominò il maresciallo Pietro Badoglio per presiedere un nuovo esecutivo, che ripristinò in parte le libertà dello statuto;[33] iniziò così il cosiddetto "regime transitorio", di cinque anni, che terminò con l'entrata in vigore della nuova Costituzione e le successive elezioni politiche dell'aprile 1948, le prime della storia repubblicana. Ricomparvero quindi i partiti antifascisti costretti alla clandestinità, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale, decisi a modificare radicalmente le istituzioni con l'obiettivo di ripristinare lo Stato democratico.[34]
Con il progredire e il delinearsi della situazione, con i partiti antifascisti che iniziavano a entrare nel governo, non fu possibile al re riproporre uno Statuto albertino eventualmente modificato, e la stessa monarchia, giudicata compromessa con il precedente regime, era messa in discussione. La divergenza, in clima ancora bellico, trovò una soluzione temporanea: una «tregua istituzionale», in cui si stabiliva la necessità di trasferire i poteri del re all'erede al trono (per l'occasione, ci fu un proclama del re il 12 aprile 1944), il quale doveva assumere la carica provvisoria di "luogotenente del regno", mettendo temporaneamente da parte la questione istituzionale; quindi, nel giugno 1944, veniva decisa la convocazione di un'Assemblea Costituente eletta a suffragio universale, incaricata di scrivere una nuova carta costituzionale.[35][36]
Fu infine esteso il diritto di voto alle donne (febbraio 1945), con il D.L.L. 2 febbraio 1945, n. 23 emanato dal Governo Bonomi III.[37]
La nascita della repubblica e l'assemblea costituente
«Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.»
(Piero Calamandrei, Discorso ai giovani tenuto alla Società Umanitaria, Milano, 26 gennaio 1955)
Dopo la cessazione delle ostilità, fu indetto il referendum per la scelta fra repubblica e monarchia (2 giugno 1946) che sancì la nascita della Repubblica Italiana.[38]
Dopo sei anni dall'inizio della seconda guerra mondiale e venti anni dall'inizio della dittatura, il 2 giugno 1946 si svolsero contemporaneamente il referendum istituzionale e l'elezione dell'Assemblea Costituente, con la partecipazione dell'89% degli aventi diritto.[N 1] Il 54% dei voti (più di dodici milioni) fu per lo stato repubblicano, superando di due milioni i voti a favore della monarchia sabauda.
L'elezione dell'Assemblea Costituente
L'Assemblea fu eletta con un sistema proporzionale e furono assegnati 556 seggi, distribuiti in 31 collegi elettorali.[N 2]
Ora i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale cessarono di considerarsi uguali, e si poté constatare la loro rappresentatività. Dominarono le elezioni tre grandi formazioni: la Democrazia Cristiana, che ottenne il 35,2% dei voti e 207 seggi; il Partito Socialista, 20,7% dei voti e 115 seggi; il Partito Comunista, 18,9% e 104 seggi. La tradizione liberale (riunita nella coalizione Unione Democratica Nazionale), protagonista della politica italiana nel periodo precedente la dittatura fascista, ottenne 41 deputati, con quindi il 6,8% dei consensi; il Partito Repubblicano, anch'esso d'ispirazione liberale ma con un approccio differente nei temi sociali, 23 seggi, pari al 4,4%. Mentre il Partito d'Azione, nonostante un ruolo di primo piano nella Resistenza, ebbe solo l'1,5% corrispondente a 7 seggi.
Fuori dal coro, in opposizione alla politica del CLN, raccolsero i voti dei nostalgici del precedente regime la formazione dell'Uomo qualunque, che prese il 5,3% con 30 seggi assegnati, e il Blocco Nazionale della Libertà, lista elettorale d'ispirazione conservatrice e monarchica, costituita in occasione delle elezioni per l'Assemblea Costituente del 1946 da Partito Democratico Italiano (PDI), Concentrazione Nazionale Democratica Liberale (CNDL) e Centro Democratico (CD) che ottenne 637 328 voti (pari al 2,77%) e 16 seggi su 556,[39] e già prima della conclusione dei lavori della Costituente vide i suoi membri dividersi tra il Partito Liberale Italiano, il Fronte dell'Uomo Qualunque e il nascente Partito Nazionale Monarchico.
Durante il periodo costituente, l'Assemblea ebbe la facoltà di revocare o accordare la fiducia ai vari governi ai quali era demandata la funzione legislativa. Inoltre, l'Assemblea stessa nominò quale Capo di Stato Provvisorio l'avvocato napoletano Enrico De Nicola.[N 2]
La genesi e l'approvazione della Costituzione
Appena eletta, l'Assemblea nominò al suo interno una Commissione per la Costituzione, composta di 75 membri incaricati di stendere il progetto generale della carta costituzionale. A sua volta, la Commissione si suddivise in tre sottocommissioni: diritti e doveri dei cittadini (presieduta da Umberto Tupini della DC), organizzazione costituzionale dello Stato (presieduta da Umberto Terracini del PCI) e rapporti economici e sociali (presieduta da Gustavo Ghidini del PSI).[40]
Giorgio La Pira sintetizzò le due concezioni costituzionali e politiche alternative dalle quali si intendeva differenziare la nascente Carta, distinguendone una "atomista, individualista, di tipo occidentale, rousseauiana" e una "statalista, di tipo hegeliano". Secondo i costituenti, riferì La Pira, si pensò di differenziarla nel principio che "per il pieno sviluppo della persona umana, a cui la nostra Costituzione doveva tendere, era necessario non soltanto affermare i diritti individuali, non soltanto affermare i diritti sociali, ma affermare anche l'esistenza dei diritti delle comunità intermedie che vanno dalla famiglia sino alla comunità internazionale".[41]
Il progetto costituzionale venne presentato all'Assemblea nel febbraio 1947 e così iniziò il dibattito in aula, che si protrasse fino al dicembre successivo, riguardo sia all'impianto generale sia ai singoli titoli e norme. Tale procedimento comportò numerose modifiche, talvolta anche rilevanti, alla Carta proposta, che tuttavia non venne mai modificata nella sua struttura più essenziale. Trovata finalmente una convergenza tra le varie correnti politiche, il testo definitivo venne approvato a scrutinio segreto il 22 dicembre 1947 con 453 voti favorevoli, 62 contrari e nessun astenuto, su un totale di 515 votanti[42]. La maggioranza che elaborò e votò la Costituzione fu il frutto di un compromesso tra la sinistra e i cattolici sui principi fondamentali, anche se i liberali esercitarono un'influenza decisiva sui meccanismi istituzionali e in particolare la separazione dei poteri.[43] La Costituzione venne, infine, promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1º gennaio 1948.[40]
L'attuazione della Costituzione
Per quanto riguarda il funzionamento del Governo e del Parlamento, il ruolo del Presidente della Repubblica e i rapporti tra tali soggetti, le norme previste dalla Carta costituzionale trovarono fin da subito applicazione nella vita della neonata Repubblica. L'Assemblea Costituente, inoltre, si occupò di approvare la legge sulla stampa, la legge elettorale e gli statuti di quattro delle cinque regioni autonome (ovvero tutti eccetto lo Statuto di autonomia siciliano). Tuttavia, altri istituti e altri diritti costituzionali dovettero aspettare diversi anni prima di trovare un riscontro attuativo.[44]
La Corte costituzionale, prevista nell'articolo 134, trovò attuazione solo nel 1955 a seguito della legge costituzionale 1/1953[45] e della legge ordinaria 87/1953.[46] Sorte simile toccò al Consiglio Superiore della Magistratura che entrò in funzione solo nel 1958.[44]
La legge necessaria a regolare l'istituto del referendum venne approvata solo nel 1970, in occasione della legge sul divorzio. Nel 1975 venne promulgata la legge di riforma del diritto di famiglia e nel 1990 quella sullo sciopero. Fino all'approvazione di una legge del 1985, la Corte costituzionale fu più volte chiamata a regolare i rapporti tra Stato e Chiesa che erano ancora basati sui dettami dei patti lateranensi.[47]
La Costituzione è la principale fonte del diritto della Repubblica Italiana, cioè quella dalla quale dipendono gerarchicamente tutte le altre norme giuridiche dell'ordinamento dello Stato. La Costituzione italiana è una costituzione scritta, rigida, lunga, votata, laica, compromissoria, democratica e programmatica.[48]
Il processo di consolidamento dei principi indicati dalla Costituzione, attraverso la loro concretizzazione nella legge ordinaria (o, talvolta, nell'orientamento giurisprudenziale), è detto attuazione della Costituzione. Tale processo è durato decenni e alcuni ritengono che non sia ancora completato. Il legislatore costituzionale, inoltre, ha ritenuto di ritornare nella Costituzione repubblicana su alcune materie, per integrarle e ampliarle, adottando provvedimenti di legge costituzionale, tipici di tutte le costituzioni rigide. Tali emendamenti sono integrazioni alla Costituzione, approvate con lo stesso procedimento della revisione costituzionale, e costituiscono modifiche più o meno profonde.[49][50]
Per quanto concerne l'attuazione e l'integrazione delle norme costituzionali, si ricorda ad esempio che la Corte costituzionale non venne attivata che nel 1956 (le elezioni dei giudici tramite una legge non avvenne che nel 1953), che il Consiglio superiore della magistratura venne attivato nel 1958 e che le 15 Regioni a statuto ordinario entrarono in funzione nel 1970 (mentre 4 delle 5 Regioni a statuto speciale vennero istituite nel 1948 e il Friuli-Venezia Giulia nel 1963); il referendum abrogativo, infine, venne istituito con la legge 352 del 15 maggio 1970.[50][51]
Elementi formali
- La normazione è contenuta in un testo legislativo "scritto". La scelta è comune all'esperienza di civil law e a quella di common law, con la grande eccezione del Regno Unito, Paese la cui Costituzione è considerata da alcune consuetudini costituzionali (solo recentemente recepite in leggi) corrispondenti ai valori fondanti dello Stato, nonché da alcuni documenti assai risalenti: la Magna Carta (1215), la Petition of Right (1628), il Bill of Rights (1689) e l'Act of Settlement (1701).
- Si dice che la Costituzione italiana è "rigida". Con ciò si indica che:
- le disposizioni aventi forza di legge in contrasto con la Costituzione, che è fonte di gerarchia del diritto, vengono rimosse con un procedimento innanzi alla Corte costituzionale;
- è necessario un procedimento parlamentare aggravato per la riforma/revisione dei suoi contenuti (non bastando la normale maggioranza, ma la maggioranza qualificata dei componenti di ciascuna camera, e prevedendo per la revisione due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi l'una dall'altra). Esistono inoltre dei limiti alla revisione costituzionale.[52]
- La Costituzione è "lunga": contiene disposizioni in molti settori del vivere civile, non limitandosi a indicare le norme sulle fonti del diritto. In ogni caso, da questo punto di vista, è da dire che il disposto costituzionale presenta per parte carattere programmatico, venendo così in rilevanza solo in sede di indirizzo per il legislatore o in sede di giudizio di legittimità degli atti aventi forza di legge.[53]
- "Votata" perché rappresenta un patto tra i rappresentanti del popolo italiano.[54]
- "Compromissoria" perché frutto di una particolare collaborazione tra tutte le forze politiche uscenti dal secondo conflitto mondiale.[43][55]
- "Democratica" perché è dato particolare rilievo alla sovranità popolare, ai sindacati e ai partiti politici. La sovranità popolare deve essere comunque esercitata solo nelle forme e nei limiti individuati dalla stessa Costituzione.[56]
- "Programmatica" perché rappresenta un programma (attribuisce alle forze politiche il compito di rendere effettivi gli obiettivi fissati dai costituenti, e ciò attraverso provvedimenti legislativi non contrastanti con le disposizioni costituzionali).[56]
Direttrici fondamentali
Nelle linee guida della Carta è ben visibile la tendenza all'intesa e al compromesso dialettico tra gli autori. La Costituzione mette l'accento sui diritti economici e sociali e sulla loro garanzia effettiva. Si ispira anche ad una concezione antiautoritaria dello Stato con una chiara diffidenza verso un potere esecutivo forte e una fiducia nel funzionamento del sistema parlamentare. Sebbene già nell'ordine del giorno Perassi[57] (con cui appunto si optò per una forma di governo parlamentare) venne prevista la necessità di inserire meccanismi idonei a tutelare le esigenze di stabilità governativa evitando ogni degenerazione del parlamentarismo.[N 3]
Non mancano importanti riconoscimenti alle libertà individuali e sociali, rafforzate da una tendenza solidaristica di base. Fu possibile, anche, grazie alla moderazione dei marxisti, confermare la validità dei Patti Lateranensi e permettere di accordare un'autonomia regionale tanto più marcata nelle isole e nelle regioni con forti minoranze linguistiche (aree in cui la sovranità italiana era stata messa in forte discussione durante l'ultima parte della guerra, e in parte lo era ancora durante i lavori costituenti).