Espulsione dei tedeschi dall'Europa orientale
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Per espulsione dei tedeschi dell'Europa orientale (definiti in tedesco: Heimatvertriebene, vale a dire "coloro che sono stati cacciati dalla propria terra") si intende il drammatico trasferimento delle popolazioni di etnia tedesca dall'Europa centro-orientale verso le odierne Germania e Austria.
L'emigrazione avvenne in tre ondate: la prima corrisponde alla fuga spontanea e all'evacuazione più o meno organizzata di fronte all'avanzata dell'Armata Rossa a metà del 1944 e all'inizio del 1945. La seconda fase corrisponde alle espulsioni avvenute in modo caotico dopo la sconfitta della Wehrmacht. La terza concerne le espulsioni più organizzate avvenute a seguito degli accordi di Potsdam, nei quali i vincitori della Seconda guerra mondiale ridisegnarono i confini dei paesi dell'Europa orientale.
Le espulsioni ebbero luogo principalmente in Polonia (7 milioni) e Cecoslovacchia (3 milioni), ma toccarono la maggior parte dei paesi dell'Europa centrale e orientale. Questi movimenti coinvolsero tra i 12 e i 16 milioni di persone[2] e rappresentano il più grande trasferimento di popolazione avvenuto alla fine della seconda guerra mondiale e, probabilmente, di tutta la storia contemporanea. Almeno 2.000.000 di civili morirono durante i trasferimenti a causa dei maltrattamenti subiti, di malattie e di stenti[3]. Le espulsioni terminarono nei primi anni cinquanta. In quel momento, negli ex territori tedeschi d'oriente restava solo il 12% della popolazione di etnia tedesca residente in loco prima della guerra.