Guerra civile del 1947-1948 nella Palestina mandataria
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La guerra civile del 1947-1948 nella Palestina mandataria costituì la prima fase della guerra arabo-israeliana del 1948. Essa scoppiò dopo che l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ebbero adottato una risoluzione il 29 novembre 1947 che raccomandava l'adozione del Piano di partizione della Palestina[1]. Quando il Mandato britannico della Palestina giunse al suo termine il 14 maggio 1948, e la componente ebraica sionista proclamò unilateralmente la nascita dello Stato d'Israele, gli Stati arabi confinanti con la Palestina (Regno d'Egitto, Transgiordania, Regno d'Iraq e Repubblica di Siria) invasero il territorio ex-mandatario della Palestina[2], e immediatamente attaccarono le forze ebraiche (oramai israeliane) e numerosi insediamenti ebraici[3]. Il conflitto degenerò in un'aperta guerra tra arabi e israeliani.
Durante la guerra civile in Palestina, l'Yishuv ebraico e le comunità arabe entrarono in conflitto, con gli ultimi appoggiati dall'Esercito Arabo di Liberazione e i britannici (che avevano il dovere di mantenere l'ordine[4][5]) che organizzavano il loro ritiro inglorioso dalla Palestina (ricevuta in Mandato dalla Società delle Nazioni l'indomani del crollo dell'Impero ottomano), che intervennero solo occasionalmente e quasi esclusivamente a propria difesa di fronte ai due contendenti che, in diversa misura, ne contestavano il ruolo passato e presente.
Antefatti
Assegnata al Regno Unito dalla Società delle Nazioni, la Palestina fu amministrata dai britannici fin dal 1920, presto obbligati a fronteggiare due opposte ideologie di stampo nazionalistico: quella del sionismo ebraico, impregnata di elementi messianici, da un lato e quella dei Palestinesi musulmani ma, in piccola aliquota, anche cristiani.
Le tensioni tra arabi ed ebrei esplosero in tutta la loro gravità con la Grande rivolta araba del 1936-1939. Diretta da nazionalisti arabi palestinesi, la rivolta aveva come obiettivo il sionismo e la presenza britannica in Palestina. Sia i britannici, sia i sionisti dell'epoca si opposero alla insurrezione palestinese; nondimeno i nazionalisti arabi palestinesi ottennero dalle autorità britanniche una drastica riduzione dell'immigrazione ebraica, formalizzata col Libro bianco sulla Palestina del 1939.
Tuttavia le conseguenze della fallita insurrezione furono pesanti. Circa 5.000 arabi e 500 ebrei trovarono la morte; le diverse organizzazioni paramilitari sioniste furono rafforzate e la maggioranza dei componenti dell'élite politica araba furono esiliati o si esiliarono volontariamente, come fu il caso di Muḥammad Amīn al-Ḥusaynī, leader del Supremo Comitato Arabo.
Dopo la Seconda guerra mondiale e la Shoah, il movimento sionista si attirò attenzioni e simpatie, specialmente nell'Europa, in URSS e negli USA. Nella Palestina mandataria, gruppi sionisti armati combatterono contro le autorità britanniche di occupazione. In due anni e mezzo, dal 1945 al giugno 1947, le forze britanniche ebbero 103 caduti e 391 feriti causati dai militanti sionisti[6]. I nazionalisti arabi palestinesi si riorganizzarono ma la loro struttura rimase inferiore qualitativamente a quella dei sionisti. Ciò nondimeno, la debolezza dell'Impero britannico coloniale rafforzò i Paesi arabi e la neonata Lega Araba.
L'Haganah fu inizialmente coinvolta negli attacchi post-bellici contro i britannici in Palestina ma si ritirò in seguito all'indignazione provocata dal grave attentato dinamitardo perpetrato nel 1946 dall'Irgun contro il Quartier generale amministrativo dell'esercito britannico, sistemato nel King David Hotel di Gerusalemme.
Nel maggio 1946, a fronte della dichiarazione di neutralità presa dal Regno Unito rispetto alle prevedibili ostilità, fu formulato un Piano C che indicava le linee-guida per la spartizione della Palestina se e quando gli attacchi arabi palestinesi avessero avuto luogo contro l'Yishuv. L'Haganah moltiplicò gli attacchi, dando alle fiamme e facendo ampio ricorso a demolizioni con esplosivo di strutture economiche, proprietà di politici e militari palestinesi, villaggi, quartieri urbani, abitazioni e insediamenti agricoli ritenuti basi dei nemici arabi o da essi utilizzati. Fu programmata anche l'uccisione degli armati irregolari e di maschi adulti.
Il 15 agosto 1947, per il sospetto che essa fosse un "quartier generale terroristico", l'Haganah dette alle fiamme la casa della famiglia Abū Laban, un agiato allevatore di arance, presso Petah Tiqwa. Dodici occupanti, inclusi una donna e sei bambini, furono trucidati[7]. Dopo il novembre 1947, dinamitare le case costituì una pratica-chiave per gran parte degli attacchi ritorsivi dell'Haganah[8].
La diplomazia non riuscì a riconciliare i differenti punti di vista circa il futuro della Palestina. Il 18 febbraio 1947, i britannici annunciarono il loro ritiro dalla regione. Verso la fine di quell'anno, il 29 novembre, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò una Raccomandazione per l'adozione e il rafforzamento del Piano di partizione della Palestina, col sostegno delle principali Potenze, ma non del Regno Unito o della Lega Araba.
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