Legis actio sacramento
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In diritto romano con l'espressione Legis actio sacramento (o sacramenti[1][2] o per sacramentum) si indicava uno schema procedurale di antichissima applicazione che poteva essere utilizzato per la tutela di qualsivoglia pretesa che fosse comunque riconosciuta dallo ius civile arcaico.
L'antico schema prevedeva una sfida tra due contendenti (l'actor, "colui che avvia l'azione", e il reus, "convenuto, colui che è chiamato in giudizio") posti su un piano di parità. Ciascuna delle parti affermava con parole solenni o la spettanza di una determinata res[3] (e in tal caso si aveva la legis actio sacramento in rem) o l'una negava e l'altra affermava l'esistenza di un credito (e in tal caso si aveva la legis actio sacramento in personam). Il sacramentum era per l'appunto la solenne sfida, la scommessa, in origine un giuramento con implicazioni religiose donde il nome sacramentum, e chi usciva sconfitto al termine della controversia era costretto a pagare la summa sacramenti per aver giurato il falso.
Il giurista romano Gaio ci descrive la legis actio sacramento nel suo stadio evolutivo avanzato, allorquando questo modo di lege agere aveva già perso la sua implicazione religiosa. Nelle sue istituzioni la definisce generalis e periculosa:
G.4.13. Sacramenti actio generalis erat. de quibus enim rebus ut aliter ageretur lege cautum non erat, de his sacramento agebatur: eaque actio proinde periculosa erat ... nam qui uictus erat, summam sacramenti praestabat poenae nomine. |
La legis actio sacramento era generale. Infatti, per tutte le controversie per le quali non era previsto si potesse lege agere diversamente, si agiva sacramento. E allo stesso tempo era rischiosa: infatti, colui che era sconfitto era tenuto a pagare a titolo di pena la summa sacramenti. |