Dacia (provincia romana)
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La Dacia (in latino Dacia) era un'antica provincia dell'impero romano che comprendeva grossomodo i territori dell'attuale Romania e parte dell'Ungheria.
Dacia | |||||
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Informazioni generali | |||||
Nome ufficiale | (LA) Dacia | ||||
Capoluogo | Ulpia Traiana Sarmizegetusa | ||||
Altri capoluoghi | Porolissum, Apulum e Malva | ||||
Dipendente da | Impero romano | ||||
Suddiviso in | Dacia superior e inferior sotto Adriano; Dacia Apulensis, Malvensis e Porolissensis sotto Antonino Pio | ||||
Amministrazione | |||||
Forma amministrativa | Provincia romana | ||||
Evoluzione storica | |||||
Inizio | fine del 106-inizi del 107 | ||||
Causa | Conquista della Dacia di Traiano | ||||
Fine | 271-274 | ||||
Causa | Invasioni barbariche del III secolo | ||||
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Cartografia | |||||
La provincia (in rosso cremisi) al tempo dell'imperatore Adriano |
Fu costituita a partire dalla fine del 106, inizi del 107 ed affidata ad un legatus Augusti pro praetore (governatore, ex-console), da cui dipendevano due legatus legionis (comandanti di legione) ed un procurator Augusti finanziario.
In un periodo compreso tra il 119 ed il 127 (sotto l'allora governatore Sesto Giulio Severo), l'imperatore Adriano divise la nuova provincia in due parti, la Dacia superiore e Dacia inferiore (comprendente i territori della Transilvania e dell'Oltenia).[1] Il comando generale era affidato ad un governatore di rango senatorio, che avesse in precedenza ricoperto il ruolo di pretore e alle cui dipendenze stava il legatus legionis della Legio XIII Gemina. Vi erano inoltre nella provincia Superiore un procurator Augusti finanziario e un procurator Augusti ducenario nella provincia Inferiore.
Sotto Marco Aurelio, o forse già Antonino Pio, la provincia fu unificata amministrativamente e militarmente (con il nome di Tres Daciae) ma divisa in tre nuove sotto-province: Dacia Porolissensis con capoluogo Porolissum (vicino a Moigrad, distretto di Sălaj); Dacia Apulensis con Apulum; e Dacia Malvensis con Malva (localizzazione ignota). Il comando generale fu affidato ad un legatus Augusti pro praetore (governatore, ex-console), da cui dipendevano due legatus legionis (comandanti di legione, di rango senatorio) e tre procuratores Augusti finanziari.[2]
Le tres Daciae avevano tuttavia una capitale comune, Ulpia Traiana Sarmizegetusa, e un'unica assemblea che discuteva gli affari provinciali, comunicava le lagnanze dei malcontenti e calcolava la ripartizione delle tassazioni.
EVOLUZIONE DELLE PROVINCE DACICHE | ||||||||||
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prima della conquista romana |
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Banato inglobato nella Mesia superiore |
Valacchia inglobato nella Mesia inferiore | |||||||||
Dacia romana | ||||||||||
Dacia romana |
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Dacia superior |
Dacia inferior |
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Dacia Apulensis |
Dacia Porolissensis |
Dacia Malvensis |
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Dacia Apulensis |
Dacia Malvensis |
Preludio alla conquista romana (62 a.C- 89 d.C.)
Con l'arrivo del proconsole Gaio Antonio Ibrida nella provincia di Macedonia nel 62 a.C., l'esercito romano iniziò a scontrarsi per la prima volta con popolazioni daciche nel territorio della Mesia Inferiore e Superiore. Ibrida venne attaccato e sconfitto due volte durante questo periodo, prima dai Dardani in un luogo sconosciuto e poi nei pressi di Histria da una coalizione di popoli bastarni e sciti, che potrebbero essere stati sotto il comando del re dacico Burebista. Infatti, questi aveva assunto il comando di un esercito coalizzato di Bastarni, Sciti e Daci tra il 70 e il 60 a.C. e realizzò una vasta espansione del regno dei Daci, a nord fino al fiume Bug a Olbia Pontica, a sud nella Tracia, a est lungo il Mar Nero e ad ovest in Mesia e Pannonia. Durante la guerra civile tra Pompeo e Cesare, Pompeo cercò l'aiuto di Burebista, tuttavia, la battaglia di Farsalo pose fine a ogni possibilità di un'alleanza tra i due. Lo stesso Cesare aveva in programma di condurre una campagna contro la Dacia, tuttavia, sia Cesare che Burebista furono assassinati nel 44 a.C. e la stessa Dacia si frantumò poco dopo politicamente in diversi regni più piccoli. Successivamente i Daci ebbero un periodo di rinascita e maggiore unità politica sotto il regno di Decebalo. Infatti, dall'85 all'89, i Daci, comandati prima dal vecchio re Duras-Diurpaneus, e poi da Decebalo, combatterono due guerre contro i Romani. La guerra terminò nell'89, in seguito anche alla disfatta romana subita ad opera di Marcomanni e Quadi, in cui Domiziano fu costretto a stipulare un trattato di pace di dubbia utilità per l'Impero, ché se da un lato garantiva la sicurezza del confine danubiano, dall'altro prevedeva per i Romani l'invio di istruttori militari, artigiani e anche denaro. I Daci restarono quindi indipendenti e Decebalo ricevette il titolo di "re cliente di Roma".
La conquista della Dacia (101-106)
Per mettere fine allo scomodo potere a nord del Danubio, e forse anche per risanare le finanze dell'Impero Romano con la cattura del famoso tesoro di Decebalo e delle sue miniere d'oro, Traiano decise di conquistare la Dacia, guadagnando così il controllo sulle miniere d'oro della Transilvania. Il risultato di questa prima campagna (101-102) fu l'assedio della capitale dacica Sarmizegetusa Regia e l'occupazione di parte del territorio. La seconda campagna (105-106) si concluse con il suicidio di Decebalo, e la conquista del territorio che avrebbe formato la provincia romana della Dacia Traiana. La storia della guerra fu scritta da Dione Cassio, ma molte informazioni sono deducibili dalle raffigurazioni scolpite sulla Colonna di Traiano a Roma. La colonizzazione in massa della provincia con cittadini romani fatti giungere da gran parte delle province danubiane,[3] permise all'impero di creare un saliente strategico all'interno del "mare barbarico" che si stendeva tra la piana ungherese del Tibisco ed i territori di Valacchia e Moldavia. Traiano era riuscito ad occupare questi ultimi territori ad est della Dacia che, però, alla sua morte furono abbandonati dal suo successore Adriano. Un errore strategico a cui non fu mai posto rimedio. Ciò avrebbe permesso di ridurre i confini imperiali, avanzando le unità militari sul basso Danubio fino al fiume Siret, con grande risparmio sulle economie militari dell'area.
La permanenza romana in Dacia, sebbene storicamente limitata a meno di due secoli (la provincia sarebbe stata infatti completamente abbandonata nel 271), lasciò un'impronta duratura sull'area, tanto che la lingua romena che si sarebbe sviluppata nei secoli successivi è rimasta, nonostante l'isolamento entro una regione europea successivamente slavizzata o magiarizzata, una lingua neolatina. E, non da ultimo, il moderno Stato che occupa il territorio dell'antica provincia, si chiama, non a caso, Romania.
La dominazione romana (107-256)
Traiano: Æ sesterzio[4] | |
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IMP CAES NERVAE Traiano AUG GER DAC P M TR P COS VI P P, testa laureata a destra con drappeggo su spalla; | DACIA AUGUST, la Dacia seduta su una roccia a sinistra, tiene un'aquila; due bambini di fronte, uno tiene in mano del grano, l'altro dell'uva; PROVINCIA S C in esergo su due linee. |
33 mm, 22.41 gr; coniato nel 112-115 nella zecca di Roma. |
Filippo l'Arabo: asse[5] | |
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IMP M IVL PHILIPPVS AVG, testa con corona, indossa corazza; | PROVINCIA DACIA, una scritta in basso AN II, la Dacia sta in piedi tra due insegne delle legioni V Macedonica (simbolo dell'aquila) e XIII Gemina (simbolo del leone). |
29 mm, 16.47 g, coniato nel 247/248 |
Il cuore del vecchio regno di Decebalo fu trasformato, insieme all'Oltenia occidentale ed al Banato, nella nuova provincia di Dacia,[6] con capitale la città di nuova fondazione di Colonia Ulpia Traiana Augusta Dacica Sarmizegetusa (probabilmente sul tracciato del vecchio campo militare[7] di Traiano).
Al contrario, buona parte della pianura della Valacchia (con l'installazione di alcuni forti di unità ausiliarie come a Piroboridava), della Muntenia e della Moldavia furono attribuite alla provincia di Mesia inferiore.[8]
A causa della diminuzione della popolazione nel territorio conquistato, dovuta alle recenti guerre e conseguente alla migrazione di molti Daci a nord dei monti Carpazi e ad ovest nella piana del fiume Tibisco, vennero importati coloni per coltivare la terra e lavorare nelle miniere d'oro e di sale, tuttavia quest'ultime non di particolare importanza, a fianco alle popolazioni daciche. I coloni, oltre alle truppe legionarie, erano principalmente coloni romani di prima o seconda generazione provenienti dal Norico e dalla Pannonia, poi seguiti da altri coloni di Tracia, Mesia e Asia Minore.
I Romani costruirono forti per proteggersi dagli attacchi di Roxolani, Alani, Carpi, Iazigi, Buri, Vandali, Costoboci e Daci ancora liberi e costruirono tre grandi strade militari per unire le città principali.
Una quarta strada, successiva a Traiano, attraversava i Carpazi ed entrava in Transilvania dal passo di Turnu Roșu.
I Daci nei territori romani, adottarono la religione e la lingua dei conquistatori e l'attuale lingua rumena è una lingua neolatina confermando una precoce romanizzazione di questi territori.
La guerra in Dacia tornò d'attualità quando attorno alla seconda metà del II secolo, dalla regione della Slesia-Vistola mossero verso sud alcune delle popolazioni germaniche dei Vandali (Asdingi, Silingi e Lacringi), sospingendo i popoli che si trovavano a stretto contatto con l'impero romano, e che si affacciavano lungo limes danubiano e dacico, quali: Quadi, Marcomanni, Naristi, Iazigi, Daci liberi, Buri e Costoboci.[9] La guerra che ne seguì fu devastante e durò per circa un ventennio dal 166/167 al 188. Al termine della quale si ebbe un discreto periodo di pace almeno fino a Caracalla. Sembra, infatti, che nel 213 si parli in alcune iscrizioni di un interprete dace (provenienti da Brigetio), che sembrano conseguenti a possibili spedizioni punitive contro i Daci liberi del Banato, compresi tra la Pannonia inferiore ad occidente e la Dacia ad oriente.[10] E sempre a quest'anno sarebbero da attribuire anche due altre incursioni in Dacia e in Pannonia inferiore, lungo il tratto danubiano attorno ad Aquincum, ad opera di Carpi e Vandali.[11]
Ritiro romano (256-271)
Il possedimento romano della Dacia era molto precario. Infatti, si dice che già Adriano, conscio della difficoltà nel mantenerlo, avesse contemplato l'idea di abbandonarlo, e sia stato scoraggiato solo dalla grande quantità di coloni.
Da questo momento per circa un quarantennio la Dacia fu sconvolta da continue invasioni da parte dei barbari, anche a causa della forma dei suoi territori allungati, al di là del limes-danubiano, nell'immenso "mare barbarico" della Sarmazia. E fu così che nel 256 l'imperatore Gallieno fu costretto ad abbandonare buona parte dei territori del Nord delle Tre Dacie (vale a dire tutta la Dacia Porolissensis e parte della Dacia Superiore), in seguito ad una nuova invasione di Goti e Carpi. Una volta attraversata la catena montuosa dei Carpazi, gli invasori riuscirono infatti a cacciare i Romani dalla zona settentrionale, con la sola eccezione delle zone più meridionali e prossime al Danubio (ovvero le attuali regioni dell'Oltenia e della Transilvania). Questi eventi sono stati tramandati da un breve passo di Eutropio e confermati dai numerosi scavi archeologici della zona, che testimoniano una totale cessazione delle iscrizioni e delle monete romane nel nord del Paese a partire proprio dal 256.[12] È inoltre attestata la presenza di alcuni ufficiali delle legioni V Macedonica e XIII Gemina nei pressi di Poetovio, a conferma di un principio di "svuotamento" delle guarnigioni delle Tre Dacie a vantaggio della vicina Pannonia.[13] Tuttavia la resistenza romana alle invasioni di Goti e Carpi nel sud della provincia fu celebrata l'anno successivo, quando a Gallieno fu attribuito l'appellativo di "Dacicus maximus".[14]
L'ultimo atto doveva però consumarsi quindici anni più tardi (nel 271-273) quando l'imperatore Aureliano, a causa della crescente crisi lungo le frontiere danubiane, oltre alla secessione in Occidente dell'Impero delle Gallie ed in Oriente del Regno di Palmira, fu costretto ad evacuare la provincia delle Tre Dacie, sotto i crescenti colpi da parte soprattutto di Goti (in particolare, della tribù dei Tervingi[15]) e Carpi, oltre ai Sarmati Iazigi della piana del Tibisco.[16] Egli, sgombrando l'area a nord del Danubio, decise di formare tuttavia una nuova provincia di Dacia a sud del corso del grande fiume, scorporando due nuove regioni dalla Mesia inferiore: la "Dacia Ripense" e la "Dacia Mediterranea".[17]
Le conseguenze dell'abbandono romano del bacino carpatico generò non solo nuove tensioni tra Goti e Gepidi ad oriente e Iazigi ad occidente, a causa del contatto tra le varie tribù, ma permise anche di rafforzare le frontiere del medio-basso corso del Danubio con il ritiro di due intere legioni (legio V Macedonica e legio XIII Gemina, posizionate ora ad Oescus e Ratiaria) ed un consistente numero di unità ausiliarie, per un totale complessivo di oltre quarantacinquemila armati.[18]
L'abbandono della Dacia Traiana dei romani è menzionato dalla Historia Augusta[19] e da Eutropio nel suo Breviarium, libro IX:
«Provinciam Daciam, quam Traianus ultra Danubium fecerat, intermisit, vastato omni Illyrico et Moesia, desperans eam posse retinere, abductosque Romanos ex urbibus et agris Daciae in media Moesia collocavit appellavitque eam Daciam, quae nunc duas Moesias dividit et est in dextra Danubio in mare fluenti, cum antea fuerit in laeva.»
«La provincia di Dacia, che Traiano aveva formato oltre il Danubio, è stata abbandonata, dopo che l'Illirico e la Mesia sono state spopolate, perché era impossibile mantenerla. I romani, spostati dalle città e terre di Dacia, si sono sistemati dall'interno della Mesia, che adesso chiamano Dacia, sulla sponda destra del Danubio fino al mare, rispetto a cui la Dacia si trovava prima sulla sinistra.»
(Eutropio, Breviarium, libro IX.)
Dopo l'abbandono della Dacia, i numerosi coloni e militari che vi erano stati stanziati dovettero trasferirsi sulla riva destra del Danubio ed insediarsi nell'area a sud del grande fiume. I nuovi territori vennero, quindi, ribattezzati Dacia mediterranea e Dacia ripensis, in ricordo della provincia abbandonata: coincideva, in parte, con le regioni storiche di Mesia, Dardania ed Illirico. La Dacia fu elevata a diocesi nel 337.
Abbandono della Dacia traiana (271-274) | ||||||
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Immagine | Valore | Dritto | Rovescio | Datazione | Peso; diametro | Catalogazione |
antoniniano | IMP AVR E LIANVS AVG, testa radiata busto con corazza verso destra, indossa un'aegis (armatura di Minerva); | DAC-IA FELIX, la Dacia in piedi di fronte, la mano destra tiene un bastone sormontato da una testa di un draco con drappeggio; in esergo una "S"(ecunda). | Dicembre 270/gennaio 271, moneta che celebra l'ultimo atto della Dacia traiana romana; | 20 mm, 4.29 g, 5h; Zecca di Mediolanum (Milano), seconda officina, prima emissione; | RIC V 108; BN 362; Venèra 1557. | |
N.B.: Qui sopra alcuni esempi. |
Parziale occupazione della ex-provincia da Diocleziano a Costantino (284-337)
Più tardi, Diocleziano e Costantino riorganizzarono le province Dacia Mediterranea, Mesia Inferiore, Dardania, Prevalitania e Dacia Ripense in diocesi della Dacia, che insieme alla Macedonia formava la prefettura dell'Illirico. Vi è da aggiungere che Costantino nel corso degli anni 331-336 condusse le sue armate oltre il basso corso del Danubio tornando ad occupare, circa 60 anni dopo Aureliano, gran parte dei territori della Dacia meridionale, tanto da iniziare la costruzione di un nuovo sistema difensivo (chiamato Brazda lui Novac) e meritandosi il titolo di Dacicus maximus.[20] Non a caso lo stesso Aurelio Vittore racconta che fu costruito un ponte sul Danubio (nel 328), oltre a numerosi forti e fortini in diverse località, a protezione dei confini imperiali.[21]
Sempre in questi anni fu concluso un trattato (foedus) con i Goti Tervingi, secondo il quale questi ultimi si impegnarono a difenderne i confini imperiali. Da allora rimasero in pace fino al 375/376. Per questi successi Costantino ricevette anche il titolo di "Germanicus maximus", di "Debellator gentium barbararum" (debellatore delle genti barbare) e la monetazione del 332 e 333 ne celebrò la GOTHIA e la Sarmatia diventate nuove province romane.[22][23][24] Vi sarebbero, infine, indizi archeologici secondo i quali Costantino avrebbe occupato parte del Banato montano,[25] lungo pertanto le "vecchie" strade romane che da Dierna e Lederata, conducevano a Tibiscum sessant'anni prima.