Germani
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Il termine Germani (chiamati anche Teutoni o, per sineddoche, Goti) indica un insieme di popoli parlanti lingue germaniche, nati dalla fusione fra gruppi etnici di origine indoeuropea e gruppi etnici autoctoni di origine paleo-mesolitica e neolitica nella loro patria originaria (Scandinavia meridionale, Jutland, odierna Germania settentrionale), che, dopo essersi cristallizzati in un'unica compagine, a partire dai primi secoli del I millennio si diffusero fino a occupare un'ampia area dell'Europa centro-settentrionale, dalla Scandinavia all'alto corso del Danubio e dal Reno alla Vistola. Da qui, a partire soprattutto dal III secolo, numerose tribù germaniche migrarono in molteplici ondate verso ogni direzione, toccando gran parte del continente europeo e arrivando fino in Nordafrica e in Nordamerica.
Germani | |||
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Espansione dei Germani in Europa centrale (VIII secolo a.C.-I secolo d.C.): Insediamenti prima del 750 a.C. nuovi insediamenti dal 750 a.C. al 1 d.C. nuovi insediamenti fino al 100 d.C. nuovi insediamenti dopo il 100 d.C. | |||
Nomi alternativi | Popoli germanici | ||
Sottogruppi | |||
Luogo d'origine | Scandinavia meridionale, Jutland | ||
Periodo | Etnogenesi nel I millennio a.C. | ||
Lingua | Lingue germaniche | ||
Distribuzione | |||
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Dopo il periodo delle migrazioni i popoli germanici attraversarono un nuovo periodo di etnogenesi dal quale emersero alcune nazioni odierne[1]: i popoli scandinavi (Danesi, Faroesi, Islandesi, Norvegesi, Svedesi); i popoli tedeschi federati (compresi gli Austriaci e gli Svizzeri Alemanni); i popoli franconi (Fiamminghi, Olandesi, Lussemburghesi); e i popoli di matrice anglo-frisone (Frisoni, Inglesi)[2], sebbene il lascito dei Germani sia presente in tutta Europa, anche in nazioni che non parlano lingue germaniche dove vari popoli germanici (Franchi, Burgundi, Goti, Longobardi, etc.) si fusero con le popolazioni locali non germaniche, dai paesi del Mediterraneo, alla Francia dove essi assunsero la lingua gallo-romanza locale, alla Russia (Variaghi).
Dall'età moderna furono soprattutto gruppi germanici, almeno in origine, a fondare colonie nell'America del nord (Le 13 colonie Britanniche) e in altre zone non europee. Da questo periodo in poi elementi culturali originariamente propri di gruppi germanici, quali la lingua inglese e la religione protestante che fu creata in ambito germanico nel XVI secolo, si sono diffusi in tutto il mondo anche tra popolazioni non germaniche.
I Germani sono tradizionalmente ripartiti in tre gruppi:
La partizione dell'insieme delle tribù germaniche in tre grandi sottoinsiemi, geograficamente caratterizzati (occidentali, orientali e settentrionali), deriva da una distinzione linguistica interna alle lingue germaniche prima ancora che una strettamente storica, secondo lo schema classico di August Schleicher: frequenti erano, presso i Germani, i mescolamenti e le ibridazioni di tribù di diversa stirpe in formazioni nuove, che arrivavano perfino a includere elementi non germanici (e, talora, perfino non indoeuropei). A volte l'esiguità delle testimonianze non consente di verificare con esattezza l'appartenenza di un dato popolo a una precisa branca della famiglia germanica.
Esonimo: Germani
Il termine "Germani" delle fonti classiche (latino Germanus(-i), pronunciato con G iniziale dura=«ghermani») Tacito sostiene sia di origine celtica. Utilizzato inizialmente per identificare una specifica tribù, passò in seguito a essere impiegato per la totalità dei Germani. Tacito sostiene che il termine indicasse originariamente una tribù gallica stanziata nell'odierno Belgio prima di essere scacciata da una penetrazione germanica: quella dei Tungri che, una volta insediatisi nel territorio dei "Germani" celtici, sarebbero stati indicati dai vicini con il medesimo nome, in un secondo tempo esteso a tutte le genti a loro affini[3].
L'etimologia dell'etnonimo Germani non è certa. Se davvero derivasse dalla lingua gallica è stato proposto si tratti di un composto di *ger "vicini" + *mani "uomini", comparabile al gallese ger "vicino", l'antico irlandese gair "vicino", e l'irlandese gar- (prefisso) "vicino" e garach "vicinamente"[4][5][6][7]. Un altro etimo celtico ricollega la radice "ger" a "rumoroso", quindi "Germani" a "uomini rumorosi" o "urlanti"; cf. bretone/cornico garm "urlare", irlandese gairm "chiamare"[8]. Tuttavia non v'è corrispondenza tra le vocali e la lunghezza delle stesse.
Altri studiosi hanno proposto un'etimologia dal germanico comune stesso, *gēr-manni, "uomini di lancia" o "di spada" o in senso lato "uomini d'arme", cf. olandese medio ghere, alto tedesco antico Ger, norreno antico geirr[9], o anche inglese contemporaneo gear, "arnese", "congegno", "equipaggiamento". Tuttavia, la forma gēr sembra foneticamente di molto posteriore al I secolo, perché ha una vocale lunga dove dovrebbe essercene una corta per le lingue germaniche del periodo, e la forma latina Germanus(-i) ha una sola -n-, non una geminata.
È altresì possibile una parentela etimologica con il termine latino omografico germanus, che non sembrerebbe connesso con l'etnonimo, che deriva da germen ("germe", "seme") e significa "congenere", "dello stesso sangue", "fratello"[10].
Endonimo: "Teutoni, Tedeschi"
I Germani identificavano se stessi semplicemente come "il popolo" o "i popoli", con una varietà di parole tutte aventi la stessa origine nel germanico comune *þiudiskaz (thiudiskaz). La radice *þeudō (theudo) significava appunto "popolo" (nel senso del moderno volk, ovvero "gruppo etnico", gruppo di gente accomunata dalla stessa origine e dagli stessi costumi), e il suffisso *-iskaz formava l'aggettivo (tale suffisso continua nell'inglese -ish e nel tedesco moderno -isch, nonché nell'italiano -esco per prestito dal germanico, ad es. nel nome proprio in origine etnonimo "Francesco"). La parola proto-indoeuropea *tewtéh₂ ("tribù"), che è accettata negli studi linguistici come base di theudo, è all'origine anche di parole affini in altre lingue indoeuropee quali il lituano tautà ("nazione"), l'irlandese antico túath ("tribù", "popolo") e l'osco (una delle antiche lingue italiche) touto ("comunità").[11] Dalla forma in germanico occidentale *þiudisk e sue variazioni successive deriva il prestito latino medievale theodiscus e le sue varianti neolatine.[12]
Thiudiskaz nell'inglese medio divenne thede/thedisc, ma già dal Medioevo gli Inglesi si riferivano a sé stessi come Englisc poi English, e dal primo inglese moderno thede era già perso (conservandosi solo in alcuni toponimi in Inghilterra come Thetford, "passo pubblico"). Continua nell'islandese þjóð (thiod) che sta per "popolo, nazione" e nel norvegese nuovo tjod dallo stesso significato, e specialmente nel tedesco della Germania Deutsch dove non indica un concetto generico di popolo ma proprio il "popolo germanico". Indicano specificamente la nazione della Germania anche l'olandese Duits (che pure possiede una variante antiquata, Deits, a significare il solo "popolo olandese"), lo yiddish (germanico giudaico) דײַטש daytsh, il danese tysk, il norvegese tysk, lo svedese tyska, e i derivati neolatini come l'italiano tedesco.
La parola "teutone", in forma aggettivale "teutonico", deriva anch'essa dal germanico thiudiskaz ma non attraverso il latino medievale theodiscus, quanto attraverso il latino antico Teutones già adottato dai Romani ad identificare una delle prime tribù germaniche con le quali erano entrati in contatto, i Teutoni appunto.
Le origini
Le prime testimonianze storiche e archeologiche (III-II millennio a.C.)
I Germani furono il risultato dell'indoeuropeizzazione, nella prima metà del III millennio a.C., della Scandinavia meridionale e dello Jutland da parte di genti provenienti dall'Europa centrale, già indoeuropeizzata nel corso del IV millennio a.C. Sebbene la cronologia esatta di questa penetrazione sia ancora oggetto di disputa, è riconosciuto che entro il 2500 a.C. gli elementi culturali propri di questi popoli - la cultura della ceramica cordata - avevano raggiunto un'ampia area dell'Europa settentrionale, dal Mar Baltico orientale all'odierna Russia europea, dalla Penisola scandinava alle coste orientali del Mare del Nord[13].
Al momento del loro insediamento in quella che sarebbe divenuta la patria originaria dei Germani, gli elementi indoeuropei trovarono già sviluppata una civiltà agricola, autrice dei megaliti propri dell'Età della Pietra nordica. Non si conoscono i caratteri etnici propri di questi popoli, ma è possibile che fossero affini a quelli delle (relativamente) vicine genti finniche[14]. La fusione, più o meno pacifica, di questi elementi pre-indoeuropei con i gruppi indoeuropei provenienti da sud determinò la cristallizzazione dei Germani, che conservarono la lingua indoeuropea dei nuovi venuti[13].
Il grado di compattezza dell'insieme dei Germani è oggetto di dibattito storiografico. Comunemente si ritiene che, nonostante la scissione in numerose tribù e l'assenza di un endoetnonimo attestato, i Germani avessero coscienza della propria identità etnica, secondo quanto ampiamente attestato sia dalla storiografica coeva greca e romana, sia dalla stessa produzione germanica di poco successiva[15]; tuttavia alcuni recenti filoni storiografici criticano tale impostazione e, interpretando le attestazioni di appartenenza come conseguenti alla descrizione etnografica classica, negano ogni forma di coscienza identitaria comune[16]. Permane in ogni caso piena convergenza sia sul carattere etnicamente composito delle varie tribù germaniche, sia sulla contemporanea omogeneità sociale, religiosa e linguistica[15][16].
Età del bronzo (XVII-VI secolo a.C.)
La cultura materiale che si sviluppò sulle rive del mar Baltico occidentale e nella Scandinavia meridionale durante la tarda età del bronzo europea (1700 a.C.-500 a.C.), nota come età del bronzo nordica, è già considerata la cultura comune ancestrale del popolo germanico[13]. Esistevano a quel tempo insediamenti piccoli ed indipendenti, oltre ad un'economia fortemente incentrata sulla disponibilità di bestiame.
Fu questa l'epoca in cui la lingua proto-germanica assunse, all'interno della famiglia linguistica indoeuropea, le proprie caratteristiche peculiari[17]. Il germanico comune - da intendersi più come un insieme di dialetti affini che come una lingua completamente unitaria - rimase sostanzialmente compatto fino alle grandi migrazioni di Germani verso sud, iniziate già nell'800 a.C.-750 a.C. A metà dell'VIII secolo a.C., infatti, i Germani risultano attestati lungo l'intera fascia litoranea che va dai Paesi Bassi alla foce della Vistola. La pressione continuò nei secoli successivi, non come un movimento unitario e unidirezionale ma come un intricato processo di avanzamenti, retrocessioni e infiltrazioni in regioni abitate anche da altri popoli. Intorno al 550 a.C. raggiunsero l'area del Reno, imponendosi sulle preesistenti popolazioni celtiche[18] e in parte mescolandosi a esse (è considerato misto il popolo di confine dei Belgi).
Durante questo periodo i Germani furono a lungo in contatto, linguisticamente e culturalmente, con i Celti e gli Italici (sia Osco-umbri, sia proto-Latini e proto-Veneti) a sud e con i Balti a est[18]. I rapporti con gli Italici, certificati dalla linguistica storica, si interruppero alla fine del II millennio a.C., quando questi popoli avviarono la loro migrazione verso sud[17] e sarebbero ripresi soltanto a partire dal I secolo a.C., quando con Gaio Giulio Cesare l'espansione di Roma sarebbe arrivata fino al Reno.
Età del ferro (V-I secolo a.C.)
Dal V al I secolo a.C., durante l'Età del ferro, i Germani premettero costantemente verso sud, venendo a contatto (e spesso in conflitto) con i Celti e, in seguito, con i Romani. Lo spostamento verso sud fu probabilmente influenzato da un peggioramento delle condizioni climatiche in Scandinavia tra il 600 a.C. e il 300 a.C. circa[senza fonte]. Il clima mite e secco della Scandinavia meridionale (una temperatura di due-tre gradi più elevata di quella attuale) peggiorò considerevolmente, il che non solo modificò drammaticamente la vegetazione, ma spinse le popolazioni a cambiare modi di vivere e ad abbandonare gli insediamenti[senza fonte]. Intorno a tale periodo questa cultura scoprì come estrarre il "ferro di palude" (limonite) dal minerale nelle paludi di torba[senza fonte]. Il possesso della tecnologia adatta ad ottenere minerale di ferro dalle fonti locali può aver favorito l'espansione in nuovi territori.
Nell'area di contatto con i Celti, lungo il Reno, i due popoli entrarono in conflitto. Sebbene portatori di una civiltà più articolata, i Galli subirono l'insediamento di avamposti germanici nel loro territorio, che diedero origine a processi di sovrapposizione tra i due popoli: insediamenti appartenenti all'uno o all'altro ceppo si alternavano e penetravano, anche profondamente, nelle rispettive aree d'origine. Sul lungo periodo, a uscire vincitori dal confronto furono i Germani, che qualche secolo più tardi sarebbero dilagati a occidente del Reno. Identico processo si sarebbe verificato, a sud, lungo l'altro argine naturale alla loro espansione, il Danubio[19].
Sul finire del II secolo a.C. i Germani risultavano presenti, oltre che nella loro patria originaria baltico-scandinava, in un'ampia ma indefinita regione dell'Europa centrale, all'epoca ricoperta di fitte foreste e corrispondente agli attuali Paesi Bassi, Germania centro-settentrionale e Polonia centro-occidentale. I confini dell'area da loro raggiunta, sia pure fluidi e soggetti a mutamenti e a condivisioni con altri popoli, coincidevano a grandi linee con i bassi corsi del Reno a ovest e della Vistola a est; a sud la situazione era ancor più incerta, con penetrazioni germaniche anche profonde in regioni abitate prevalentemente da Celti, come Norico e Pannonia. Già nel secolo successivo, tuttavia, la presenza germanica si sarebbe meglio definita, da un punto di vista territoriale, quale quella predominante nelle aree poste immediatamente al di là del Limes romano, marcato in quelle regioni dal Reno e dall'alto Danubio.
Il mito e la loro suddivisione nella storiografia romana
In età antica era diffusa l'ipotesi, riferita dallo storico latino, Publio Cornelio Tacito, nel De origine et situ Germanorum (del 98 d.C.), secondo cui i Germani fossero un popolo indigeno della Germania stessa, dal momento che nelle epoche più antiche gli spostamenti di intere popolazioni avvenivano esclusivamente via mare ed egli ritiene che nessun popolo del Mediterraneo si sia spinto verso il Mare del Nord.[20] Oltre a ciò, lo storico romano riferisce anche delle origini mitiche che la tradizione germanica attribuiva al proprio popolo, trasmesse oralmente; essi si consideravano discendenti di Tuistone, divinità della terra. I suoi nipoti, figli di suo figlio Manno, sarebbero i capostipiti delle tre stirpi germaniche:
- quella degli Ingevoni (le popolazioni vicino all'Oceano);
- degli Istevoni (che occupano la zona di mezzo);
- e degli Erminoni (tutte le altre).
Secondo altre tradizioni, sempre riferite da Tacito, Manno ebbe tanti altri figli oltre ai primi tre, dai quali derivarono anche i Marsi, i Gambrivi, i Suebi, i Vandili, e dunque avrebbero dato origine ad altre tribù[21].
Vent'anni prima, nel 77/78, Plinio il Vecchio scriveva qualcosa di molto simile nella sua Naturalis Historia, che andrebbe a completare il quadro descritto da Tacito sui popoli germanici. Secondo lo storico e naturista latino: «i Germani hanno 5 razze: i Vandali, di cui fanno parte i Burgundi, i Varinni, i Carini, Gutoni; gli Ingueoni (assimilabili agli Ingevoni di Tacito), comprendenti Cimbri, Teutoni e Cauci (sulle coste dell'Oceano Germanico); gli Istueoni (assimilabili agli Istevoni), vicini al Reno (e che occupano la terra di mezzo); gli Ermioni (assimilabili agli Erminoni), più nell'interno e di cui fanno parte Suebi, Ermunduri, Catti e Cherusci; la quinta ripartizione è costituita da Peucini e Bastarni»[22].
Il conflitto contro Roma (II secolo a.C. - V secolo d.C.)
Cimbri e Teutoni (113 - 101 a.C.)
I Germani vennero a contatto con Roma fin dall'ultimo scorcio del II secolo a.C., con le incursioni di Cimbri e Teutoni in territorio romano. I due popoli germanici mossero dal natio Jutland e penetrarono in Gallia, spingendosi fino alla provincia romana della Gallia Narbonense, di recente costituzione. Qui discesero il corso del Rodano favorendo una ribellione delle tribù celtiche appena assoggettate a Roma e sconfiggendo in più occasioni le legioni romane che avevano tentato di arginarne l'invasione.
Negli anni successivi i Cimbri penetrarono in Iberia, mentre i Teutoni proseguirono le loro scorrerie in Gallia settentrionale. I due popoli tornarono poi a volgersi contro i domini di Roma, minacciando la Gallia cisalpina; a opporsi a loro fu inviato il console Gaio Mario, che in due battaglie annientò entrambi i popoli: i Teutoni ad Aquae Sextiae (l'odierna Aix-en-Provence) nel 102 a.C., i Cimbri ai Campi Raudii (presso Vercelli) nel 101 a.C.
Superato il pericolo dell'invasione di Cimbri e Teutoni, Roma passò a una politica marcatamente espansionistica verso nord, nei territori dell'Europa centro-occidentale. Il processo, articolato in varie fasi, portò alla conquista di tutte le aree collocate a ovest del Reno e a sud del Danubio, oltre a varie penetrazioni al di là di tale linea. L'ininterrotta frontiera dell'Impero romano, estesa dal Mare del Nord al Mar Nero, fu il Limes, per secoli argine alla spinta espansionista dei Germani verso sud e verso ovest. Lungo il Limes, numerosi furono i conflitti che si accesero nel corso dei secoli tra i Romani e i Germani, che tentarono a più riprese di penetrare nel più ricco e organizzato territorio soggetto all'Urbe. Soltanto però quando l'Impero romano entrò - per cause interne - in grave crisi, ai Germani riuscì la penetrazione con ampie masse al di qua del Limes (III secolo).
Cesare e la Gallia: il Reno come confine naturale con i Germani (58-54 a.C.)
Al tempo della conquista della Gallia condotta da Cesare, nuovi conflitti si accesero lungo il Reno, confine tra i Celti e i Germani. Fin dal 72 a.C. un gruppo di tribù germaniche, capeggiate dai Suebi di Ariovisto, aveva passato il fiume e tormentava con le sue scorribande il territorio gallico, infliggendo anche una dura sconfitta ai Galli presso Admagetobriga (60 a.C.). I Galli invocarono allora l'aiuto di Cesare, che sconfisse definitivamente Ariovisto presso Mulhouse (58 a.C.).
La disfatta di Ariovisto non fu comunque sufficiente ad arrestare la pressione esercitata in quegli anni dai Germani sui Galli. Una massa di Usipeti e Tencteri minacciò i Menapi belgi presso la foce del Reno, fornendo a Cesare una nuova opportunità di intervento (55 a.C.). Sconfitte le due tribù in Gallia belgica, il proconsole sconfinò nelle terre dei Germani: valicato il Reno, compì razzie e saccheggi per terrorizzare il nemico e indurlo a rinunciare a nuove incursioni verso la Gallia. Fissò quindi stabilmente il confine dei territori soggetti a Roma sullo stesso Reno. Cesare aveva l'obiettivo di espandersi ben al di là dei territori nordici, ma fu frenato dall'espansionismo dei Germani che invasero costantemente il territorio gallico appena conquistato e preferì rinunciare all'espansione per controllare i movimenti dei Germani transrenani.
Il tentativo di conquista romana sotto Augusto (12 a.C.-9 d.C.)
Le popolazioni germaniche avevano più volte tentato di passare il Reno: nel 38 a.C. (anno in cui gli alleati germani, Ubi, furono trasferiti in territorio romano)[23] e nel 29 a.C. i Suebi, mentre nel 17 a.C. i Sigambri, insieme a Usipeti e Tencteri (clades lolliana).[24] Augusto ritenne fosse giunto il momento di annettere la Germania, come aveva fatto Gaio Giulio Cesare con la Gallia. Desiderava portare i confini dell'Impero romano più ad est, dal fiume Reno al fiume Elba. Il motivo era di ordine prettamente strategico, più che di natura economico-commerciale. Si trattava infatti di territori acquitrinosi e ricoperti da interminabili foreste ma il fiume Elba avrebbe ridotto notevolmente i confini esterni dell'impero.[25][26]
Toccò al figliastro di Augusto, Druso maggiore, il gravoso compito di operare in Germania. Le campagne che si susseguirono furono numerose, discontinue, e durarono per circa un ventennio dal 12 a.C. al 6 d.C. portando alla costituzione della nuova provincia di Germania con l'insediamento di numerose installazioni militari a sua difesa. Tutti i territori conquistati in questo ventennio furono però definitivamente compromessi quando nel 7 Augusto inviò in Germania Publio Quintilio Varo, sprovvisto di doti diplomatiche e militari, oltreché ignaro delle genti e dei luoghi. Nel 9 un esercito di 20.000 uomini composto da tre legioni venne massacrato nella selva di Teutoburgo, portando alla definitiva perdita di tutta la zona tra il Reno e l'Elba.[25][26][27]
L'occupazione romana degli Agri decumati
Dopo il disastro di Teutoburgo, Roma tentò nuovamente di ridurre all'obbedienza i Germani, ma questi riuscirono sempre a evitare di piegarsi al giogo romano, salvo episodi momentanei. Una spedizione condotta da Germanico sotto Tiberio (14-16 d.C.) si concluse con la vittoria della Battaglia di Idistaviso, che tuttavia non portò a un ampliamento dei domini romani. Nel 47 Claudio decise di ritirare definitivamente le legioni al di qua del Reno. Durante questo periodo, varie tribù germaniche stanziate nei pressi della foce del fiume avevano dovuto accettare lo status di tributari di Roma, salvo poi ribellarsi (i Frisi nel 28, i Batavi nel 69-70).
Tra l'83 e l'85 una nuova campagna contro i Germani fu condotta dall'imperatore romano Domiziano, che si scontrò con i Catti e occupò l'area degli Agri decumates, riducendo così la lunghezza del Limes tra Reno e Danubio. In seguito, lo stesso imperatore combatté contro altre tribù germaniche (i Marcomanni e i Quadi) più a est, lungo il medio corso del Danubio (Pannonia), in una serie di campagne proseguite poi da Traiano (89-97).
Le tribù germaniche alla fine del I secolo
Risale alla fine del I secolo la prima dettagliata descrizione dei Germani, riportata nella Germania di Gaio Cornelio Tacito (98 d.C. circa). A quel tempo i Germani erano ormai diventati da un pezzo agricoltori sedentari. Lo storico romano, come già Cesare prima di lui, si occupa esclusivamente dei "Germani occidentali", che sono dunque i primi a essere descritti dettagliatamente dalla storiografia. Tacito testimonia che inizialmente questi Germani non erano interessati ai territori romani. Ogni tanto sommovimenti generati all'interno o indotti da pressioni esterne convogliavano l'aggressività endemica di queste tribù guerriere verso i confini dell'Impero romano, che suscitava in loro paura, riverenza e cupidigia. Ma l'Impero era troppo forte e le tribù troppo deboli per potere consolidare quelle incursioni in vere e proprie campagne militari. Le incursioni erano piuttosto i Romani a effettuarle nelle terre barbare, con risultati terrorizzanti.[28] Fu solo tra il II e il IV secolo che, spinti dalle tribù di nomadi delle steppe che, superiori militarmente, ne occuparono i pascoli, essi iniziarono a premere verso sud.
La partizione dell'insieme delle tribù germaniche in tre grandi sottoinsiemi, geograficamente caratterizzati (occidentali, orientali e settentrionali), segue una distinzione linguistica interna alle lingue germaniche più che una strettamente storica[29], giacché frequenti erano, presso i Germani, i mescolamenti e le ibridazioni di tribù diverse.
- I Germani occidentali
Nella Germania Tacito ripartisce i Germani (occidentali) in tre gruppi: Ingaevones, Istaevones e Herminones. Tale tripartizione è stata accolta anche dalla storiografia moderna, che li identifica rispettivamente con le tribù del Mare del Nord, del bacino del Reno-Weser e di quello dell'Elba[30].
Gli Ingaevones all'epoca di Tacito erano le tribù stanziate lungo le coste del Mare del Nord e le piccole isole adiacenti; tra queste, i Frisi (presso la foce del Reno), gli Angli (nell'odierno Schleswig-Holstein), i Sassoni (anch'essi originari dello Schleswig-Holstein, poi espansi verso sud e verso ovest fino a raggiungere il Reno e a entrare in conflitto con altre tribù germaniche) e gli Juti (tradizionalmente collocati nello Jutland. Angli, Juti e gran parte dei Sassoni migrarono in massa in Gran Bretagna nel V secolo[31].
Gli Istaevones si trovavano, nel I secolo-II secolo nell'area dei bacini dei fiumi Reno e Weser. Tra le varie tribù che facevano parte di questo gruppo spiccano i Batavi, gli Ubi, i Treveri, i Catti e i Franchi, che presto si evolsero da singola tribù a confederazione includente anche apporti di diversa origine.
Gli Herminones (spesso indicati anche con il nome generico di Suebi, impiegato tuttavia in modo incoerente dalle fonti classiche) occupavano, sempre intorno al I secolo, la regione compresa tra il basso corso dell'Elba e il Mar Baltico, chiamata allora Golfo di Codano. Tra le tribù che ne facevano parte, oltre agli stessi Suebi, si contavano i Marcomanni, i Quadi e i Semnoni; questi ultimi avrebbero costituito il nucleo della confederazione degli Alemanni.
- I Germani orientali
Chiamati anche, dal luogo del loro insediamento tra I e II secolo, "gruppo dell'Oder-Vistola", anche questo grande sottoinsieme dei Germani, identificato principalmente su base linguistica[32], era frazionato in numerose tribù; tra le principali, Vandali, Burgundi, Gepidi, Rugi, Eruli, Bastarni, Sciri, Goti (poi scissi in due rami: Ostrogoti e Visigoti) e Longobardi (questi ultimi, però, a volte sono inseriti tra gli Herminones, Germani occidentali)[33].
Scarse sono le informazioni su questa branca germanica nei primi secoli d.C.: a causa dei rari contatti con il mondo classico, le testimonianze degli storici e dei geografici greci e latine sono poche e confuse. Soltanto a partire dal III-IV secolo, con i primi grandi movimenti migratori dei Germani orientali dall'area baltica verso il Limes romano e con la traduzione in lingua gotica della Bibbia per opera di Ulfila, le tribù germaniche orientali sarebbero entrate nella linea della storia.
- I Germani settentrionali
Nonostante la scarsità dei contatti, gli storici e i geografi latini hanno tramandato alcune informazioni sul ramo settentrionale dei Germani: Plinio il Vecchio li indica con il nome generico di Hilleviones, mentre Tacito ricorda la tribù dei Suioni (dal cui nome deriva quello della Svezia). Accomunate dalla lingua proto-norrena, tramandata dalle iscrizioni in alfabeto runico, nei primi secoli d.C. le varie tribù erano stanziate nella parte meridionale della Penisola scandinava; soltanto a partire dal V secolo ebbero inizio vari movimenti migratori, che espansero notevolmente l'area occupata da questa branca germanica[34].
Le Guerre marcomanniche della fine del II secolo
Dopo un periodo di tranquillità, i Germani ripresero a manovrare contro l'Impero romano nel 135, con i Suebi; contro di loro mosse, in due campagne, Lucio Elio Cesare (136-137). Ma nel corso del II secolo furono soprattutto i Marcomanni a combattere contro Roma, dando vita a un lungo periodo di conflitti militari (dal 167 al 188) combattuti soprattutto in Pannonia.
Nel 166/167, avvenne il primo scontro lungo le frontiere della Pannonia, ad opera di poche bande di predoni Longobardi e Osii, che, grazie al pronto intervento delle truppe di confine, furono prontamente respinte. La pace stipulata con le limitrofe popolazioni germaniche a nord del Danubio fu gestita direttamente dagli stessi imperatori, Marco Aurelio e Lucio Vero, ormai diffidenti nei confronti dei barbari aggressori e recatisi per questi motivi fino nella lontana Carnuntum (nel 168).[35] La morte prematura del fratello Lucio (nel 169 poco distante da Aquileia), ed il venir meno ai patti da parte dei barbari (molti dei quali erano stati "clienti" fin dall'epoca di Tiberio), portò una massa mai vista prima d'allora, a riversarsi in modo devastante nell'Italia settentrionale fin sotto le mura di Aquileia, il cuore della Venetia. Enorme fu l'impressione provocata: era dai tempi di Mario che una popolazione barbarica non assediava dei centri del nord Italia.[36] Intorno ai Marcomanni si realizzò una coalizione di tribù, che includeva anche Quadi, Vandali, Naristi, Longobardi e perfino popoli non germanici, come gli Iazigi di ceppo sarmatico. Contro di essa mosse l'imperatore Marco Aurelio che, pur sconfiggendo a più riprese i barbari, non riuscì a completare il suo progetto a causa della morte dell'imperatore romano (nel 180). Ciò pose fine ai piani espansionistici romani e determinò l'abbandono dei territori occupati della Marcomannia e la stipula di nuovi trattati con le popolazioni "clienti" a nord-est del medio Danubio.[37]
Invasioni del III secolo: le prime federazioni etniche
Dopo le Guerre marcomanniche, tra i Germani si verificò un nuovo processo: in luogo delle semplici coalizioni di tribù si realizzarono vere e proprie federazioni etniche. Le identità proprie di ogni singolo gruppo tribale lasciavano cioè il posto, in questi casi, a una nuova identità più ampia, "nazionale": quella della federazione. Esempi di questa nuova modalità furono i Franchi, gli Alemanni e più tardi, dal V secolo, gli Anglosassoni. Il processo si realizzò soltanto in alcuni casi, e fu soltanto una delle linee di sviluppo possibili del grande processo di riorganizzazione compiuto dalle tribù germaniche durante i processi migratori noti come Invasioni barbariche; in altri casi continuò a operare l'aggregazione di tribù, parti di tribù e perfino di singoli guerrieri attorno a tribù già esistenti, che funzionarono così da catalizzatore e continuarono a conservare la propria identità (anche se ora allargata). Aggregazioni di questo genere furono, per esempio, quelle che si realizzarono intorno ai Suebi, agli Ostrogoti, ai Visigoti e ai Longobardi. Anche Marcomanni e Quadi agirono più volte in coalizione, uniti anche a popoli non germanici come gli Iazigi di ceppo sarmatico.
Le invasioni di questo periodo (dal 212/213 al 305) costituirono un periodo ininterrotto di scorrerie all'interno dei confini dell'impero romano, condotte per fini di saccheggio e bottino[38] da genti armate appartenenti alle popolazioni che gravitavano lungo le frontiere settentrionali: Pitti, Caledoni e Sassoni in Britannia; le tribù germaniche di Frisi, Sassoni, Franchi, Alemanni, Burgundi, Marcomanni, Quadi, Lugi, Vandali, Iutungi, Gepidi e Goti (Tervingi ad occidente e Grutungi ad oriente[39]), le tribù daciche dei Carpi e quelle sarmatiche di Iazigi, Roxolani ed Alani, oltre a Bastarni, Sciti, Borani ed Eruli lungo i fiumi Reno-Danubio ed il Mar Nero.
La crescente pericolosità per l'Impero romano di Germani e Sarmati era dovuta principalmente al cambiamento sopra citato, rispetto ai secoli precedenti nella struttura tribale della loro società: la popolazione, in costante crescita e sospinta dai popoli orientali, necessitava di nuovi territori per espandersi, pena l'estinzione delle tribù più deboli. Da qui la necessità di aggregarsi in federazioni etniche di grandi dimensioni, come quelle di Alemanni,[40] Franchi[41] e Goti,[42] per meglio aggredire il vicino Impero o per difendersi dall'irruzione di altre popolazioni barbariche confinanti. Per altri studiosi, invece, oltre alla pressione delle popolazioni esterne, fu anche il contatto ed il confronto con la civiltà imperiale romana (le sue ricchezze, la sua lingua, le sue armi, la sua organizzazione) a suggerire ai popoli germanici di ristrutturarsi ed organizzarsi in sistemi sociali più robusti e permanenti, in grado di difendersi meglio o di attaccare seriamente l'Impero.[43] Roma, dal canto suo, ormai dal I secolo d.C. provava ad impedire la penetrazione dei barbari trincerandosi dietro il limes, ovvero la linea continua di fortificazioni estesa tra il Reno e il Danubio e costruita proprio per contenere la pressione dei popoli germanici.[44]
Lo sfondamento da parte delle popolazioni barbariche che si trovavano lungo il limes fu facilitato anche dal periodo di grave instabilità interna che attraversava l'Impero romano nel corso del III secolo. A Roma, infatti, era un continuo alternarsi di imperatori ed usurpatori (la cosiddetta anarchia militare). Le guerre interne non solo consumavano inutilmente importanti risorse negli scontri tra i vari contendenti, ma - cosa ben più grave - finivano per sguarnire proprio le frontiere sottoposte all'aggressione dei barbari.
Invasioni del IV secolo
Lo sforzo intrapreso dagli augusti che si erano susseguiti già nel corso del III secolo e poi nel IV secolo, tanto a causa della mancanza di un progetto a lungo termine, quanto per la crisi economica che aveva investito il sistema tributario romano, non riuscì a salvare l'integrità dell'Impero. Era ormai chiaro che qualsiasi sforzo per il mantenimento dello status quo non avrebbe prodotto i risultati sperati. Diocleziano e la sua tetrarchia, Costantino I e la sua dinastia, poterono solo rallentare questo processo.
Verso la metà del IV secolo la pressione delle tribù germaniche sui confini del Danubio e del Reno era diventata molto forte, incalzata dagli Unni provenienti dalle steppe centro-asiatiche (forse la stessa popolazione, ricordata con il nome di Xiongnu, che un secolo prima avevano insidiato l'Impero cinese presso la Grande Muraglia). L'irruzione degli Unni sullo scacchiere europeo modificò profondamente i caratteri degli attacchi germanici contro il territorio romano: se durante il III secolo la modalità prevalente era stata quella delle incursioni con finalità di saccheggio, esaurite le quali le varie tribù, federazioni o coalizioni facevano ritorno nei loro insediamenti posti immediatamente al di là del Limes romano, nel IV presero avvio migrazioni di massa verso l'Impero. In questo processo, a spostarsi erano non soltanto più i guerrieri, ma l'intero popolo, in cerca di nuove aree di stanziamento; la migrazione, comunque, non sostituì completamente la razzia, ma le due modalità si intersecarono e si sovrapposero ripetutamente.
In un primo momento, Roma tentò di assorbire gli spostamenti delle popolazioni germaniche inserendole all'interno delle proprie strutture, affidando loro un territorio di stanziamento lungo il Limes e impegnandole, in cambio dell'accoglienza, alla difesa del Limes stesso. La scissione della grande famiglia gotica nei due rami "occidentale" (Visigoti) e "orientale" (Ostrogoti) non frenò la loro pressione contro il Limes danubiano, che tra III e IV secolo esercitarono sia singolarmente, sia congiuntamente. In seguito alla migrazione degli Unni, inizialmente in Pannonia e all'effetto domino cagionato da essa, tuttavia, la politica di progressiva assimilazione non poté più essere proseguita, e i Germani irruppero in massa e al di fuori di ogni pianificazione all'interno dell'Impero. Al termine del processo, proseguito anche nei secoli seguenti, numerosi popoli germanici si trovarono insediati in vari territori dell'Europa occidentale, meridionale e perfino in Nordafrica, ridisegnando di conseguenza la mappa etnica e linguistica del Vecchio continente.
La nuova situazione ebbe come momento di svolta la battaglia di Adrianopoli (378), nella quale i Visigoti sconfissero l'esercito dell'imperatore Valente, che perse la vita nello scontro. Teodosio, infatti, chiamato alla guida dell'impero d'Oriente da Graziano dopo la morte di Valente, e i suoi successori adottarono una nuova strategia di contenimento nei confronti dei barbari. Dopo quell'evento infatti gli imperatori, incapaci di fermare le invasioni militarmente, cominciarono ad adottare una politica basata sui sistemi della hospitalitas e della foederatio. Dopo la terribile disfatta di Adrianopoli del 378, gli imperatori romani furono così costretti a "subire" la presenza dei barbari sia all'interno sia all'esterno dei confini imperiali, una delle principali cause della disgregazione ed allontanamento tra la parte occidentale ed orientale dell'impero.
Invasioni del V secolo
L'estrema agonia di Roma iniziò quando, intorno al 395, i Visigoti si ribellarono.[45] La morte di Teodosio I e la divisione definitiva dell'impero romano d'Occidente e d'Oriente tra i due suoi figli Onorio e Arcadio, portò il generale visigoto Alarico a rompere l'alleanza con l'impero e a penetrare attraverso la Tracia fino ad accamparsi sotto le mura di Costantinopoli. Contemporaneamente gli Unni invasero la Tracia e l'Asia Minore mentre i Marcomanni la Pannonia. Fu solo grazie all'intervento del generale Stilicone, che, seppur bloccato dall'autorità di Arcadio, poté fermare sul nascere un possibile assedio della capitale d'Oriente.[46][47][48]
Ed ancora nel 402 sempre i Visigoti tentarono un nuovo colpo di mano assediando Mediolanum, l'altra capitale imperiale (questa volta della parte occidentale) dove si era rifugiato Onorio. Fu solo grazie ad un nuovo intervento di Stilicone che fu salvata e Alarico fu costretto a togliere l'assedio.
Pochi anni più tardi, nel 410, i tentativi di Alarico ottennero un importante successo. Grazie soprattutto alla morte di Stilicone, unico baluardo della romanità, egli riuscì a penetrare in Italia ed mettere a sacco la stessa Roma.[49][50][51] A quella data, già da alcuni anni, la capitale imperiale si era trasferita a Ravenna,[52] ma qualche storico candida il 410 quale possibile data della vera caduta dell'impero romano.[53] Privato di Roma e di molte delle sue precedenti province, con un'impronta germanica sempre più marcata, l'impero romano degli anni successivi al 410 aveva davvero poco in comune con quello dei secoli passati. Nel 410, la Britannia era ormai andata perduta definitivamente,[54] come pure grossa parte dell'Europa occidentale fu messa alle strette "da ogni genere di calamità e disastri",[55] finendo in mano a regni romano-barbarici formatisi all'interno dei suoi originari confini e comandati da Vandali, Svevi, Visigoti e Burgundi.[56]
Vi fu solo un timido tentativo di ripristinare l'antico splendore di Roma da parte del magister militum Ezio, che riuscì a fronteggiare provvisoriamente i barbari fino al 451, quando batté gli Unni di Attila grazie a una coalizione di genti germaniche federate nella battaglia dei Campi Catalaunici.[57][58][59] La morte di Ezio nel 454 portò alla successiva fine nell'arco di venticinque anni e a un nuovo sacco di Roma nel 455.
Il 476 sancì infatti la fine formale dell'Impero romano d'Occidente. In quell'anno, Flavio Oreste rifiutò di pagare i mercenari germanici al suo servizio. I mercenari insoddisfatti, inclusi gli Eruli, si rivoltarono. La rivolta era capeggiata dal barbaro Odoacre. Odoacre e i suoi uomini catturarono e uccisero Oreste. Poche settimane dopo, Ravenna, la capitale dell'Impero, cadde e l'ultimo imperatore Romolo Augusto venne deposto. Questo evento viene tradizionalmente considerato la caduta dell'Impero romano, almeno in Occidente. Tutta l'Italia era in mano a Odoacre, il quale mandò le insegne imperiali all'imperatore d'Oriente Zenone.[60]
Regni romano-germanici (V-VIII secolo)
Nei territori appartenuti all'Impero romano e in seguito sommersi dalla Invasioni barbariche, i nuovi venuti germani diedero vita, insieme ai vinti romanici (gruppi etnici gallo-romani e ibero-romani e genti d'altra origine residuati della dissoluzione dell'antico Impero Romano), a istituzioni statali di nuovo tipo, dette regni romano-barbarici (o latino-germanici). All'interno di questi regni avvenne, durante l'Alto Medioevo, l'integrazione tra gli invasori germani e gli autoctoni romanici, dando così vita - almeno nelle linee più generali - alla composizione etnica e linguistica dell'Europa moderna. Le monarchie "romano-barbariche" presentavano un duplice carattere legato sia alla tradizione germanica dei conquistatori (leggi non scritte, importanza della pastorizia, credo religioso ariano e usanze guerriere) sia alla tradizione latina delle genti romanizzate, con i vescovi spesso provenienti da antiche famiglie aristocratiche romane.
La pars occidentis si andava riorganizzando secondo i nuovi profili istituzionali delle cosiddette "monarchie romano-barbariche", riconosciute formalmente dall'unico imperatore rimasto, quello d'Oriente. Le vecchie municipalità però rimasero operative a lungo, anche se l'economia e la società furono gravemente colpite e non si ripresero per molti secoli. Si spopolarono gradualmente le città (per l'insicurezza, la carenza di approvvigionamenti e l'inflazione galoppante) e l'economia si ruralizzò. Esauriti ormai gli schiavi per i latifondi, si diffusero i coloni (uomini e donne formalmente liberi, ma legati alle terre che lavoravano ed ai latifondisti, ai quali prestavano opere gratuite, obbligatorie e unilateralmente decise dai padroni), che vi si rifugiavano in cambio della protezione dei vigilantes, piccoli corpi militari privati.
Nel latifondo, spartito tra le famiglie dei coloni, si erano ormai spezzate le vecchie monocolture in favore di prodotti diversificati e una maggiore presenza di pascoli per l'allevamento (attività tipica dei coloni di origine germanica). Non era quasi mai possibile arrivare all'autosufficienza e persistevano i mercati, almeno per le merci pregiate e i prodotti dell'artigianato.
Il decadere dei commerci con l'oriente rese raro il papiro, che venne sostituito nella preparazione dei libri nei monasteri con la più pregiata (e costosa) pergamena, ricavata dalla pelle degli animali opportunamente conciata, una risorsa ormai più facilmente disponibile per la maggiore diffusione dell'allevamento.
I regni romano-barbarici mantennero molte delle strutture del governo romano, soprattutto a livello municipale, servendosi della collaborazione dei Romani (o, per meglio dire, Romanici) per governare il loro stato.[61] Non risulta che Franchi e Burgundi avessero mantenuto il sistema provinciale romano, mentre Visigoti e Vandali mantennero le province (governate da rectores o iudices) ma non diocesi e prefetture.[62] Soltanto in Italia Odoacre e, successivamente, i re Ostrogoti (in primis Teodorico il Grande) conservarono integralmente la struttura amministrativa tardo-imperiale mantenendo la prefettura del pretorio d'Italia e i due vicariati dell'Italia Annonaria e Suburbicaria, nonché le diverse province in cui era stata suddivisa l'Italia. Quando Teodorico conquistò la Provenza, nel 508, ricostituì anche una diocesi delle Gallie, promossa due anni dopo al rango di prefettura, con capitale Arelate. La prefettura del pretorio delle Gallie venne abolita nel 536, sotto il regno di Vitige, in seguito alla cessione della Provenza ai Franchi. Il motivo per cui Odoacre e, successivamente, Teodorico mantennero integralmente la struttura amministrativa tardo-imperiale era che essi erano ufficialmente viceré dell'Imperatore "romano" di Costantinopoli, per cui l'Italia continuava nominalmente a far parte dell'Impero romano, seppur in maniera "indiretta". Le cariche civili (come quella di vicario, di prefetto del pretorio, di praeses, di praefectus urbi, di console, di magister officiorum) continuavano ad essere rivestite da cittadini romani, mentre i Barbari privi di cittadinanza ne erano esclusi. I Romani erano invece esclusi dall'esercito, interamente costituito da Ostrogoti.
Le leggi dei regni romano-barbarici attestano che i Barbari ricevettero un terzo o i due terzi delle terre della regione di insediamento, sulla base dell'istituto della cosiddetta hospitalitas.
Alcuni dei regni romano-barbarici, come quelli dei Burgundi nel bacino del Rodano o degli Svevi (Suebi) nella parte nord-occidentale della penisola iberica, vennero assimilati nel corso del VI secolo dai vicini (quello dei Burgundi dai Franchi e quello svevo dai Visigoti); altri, come quelli dei Vandali in Nordafrica o degli Ostrogoti in Italia, crollarono sempre nel VI secolo sotto l'offensiva di Bisanzio, che tentò di ricostruire l'unità dell'impero. Quelli dei Visigoti in Spagna e dei Franchi nelle ex province galliche invece sopravvissero, sia per la rapida integrazione tra le popolazioni dei residenti e gli invasori, sia per la collaborazione con la Chiesa e con esponenti del mondo intellettuale latino. Il regno visigoto crollò agli inizi dell'VIII secolo, conquistato dagli Arabi musulmani. Dopo il crollo del regno ostrogoto, nel 568 l'Italia fu invasa dai Longobardi, il cui regno durò fino al 774, quando fu conquistato dai Franchi di Carlo Magno.