Zhǐguān
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Il termine cinese zhǐguān (止觀, Wade-Giles: chih-kuan, coreano: Chigwan, giapponese: shikan), a cui si fa riferimento in questa voce, è composto da 止 (pinyin zhǐ, sanscrito śamatha, coreano chi, giapponese shi) che in italiano si può tradurre come calma concentrazione e 觀 (pinyin guān, sanscrito vipaśyanā, coreano gwan, giapponese kan) che in italiano si può tradurre come discernimento. Il termine cinese 止觀 si riferisce alla tecnica meditativa indiana del śamatha-vipaśyanā così come insegnata nella scuola buddista cinese Tiāntái (天台宗, giapp. Tendai, cor. Cheontae) le quali a loro volta fanno particolare riferimento alle opere Móhē Zhǐguān (摩訶止觀, Grande trattato di calma e discernimento, giapp. Maka Shikan, T.D. 1911)[1] e Tóngméng Zhǐguān (童蒙止觀, Trattato di calma e discernimento per principianti; in giapponese 小止観 Shō Shikan, Piccolo trattato di calma e discernimento; T.D. 1915)[2] di Zhìyǐ (智顗, 538-597) dove questa pratica meditativa viene descritta.
Riccardo Venturini[3] evidenzia come i caratteri cinesi che compongono il termine zhǐguān, ovvero 止觀, rappresentino:
- 止 un piede fermo il quale indica il 'fermarsi', si ferma 'il corso dei pensieri erronei' promuovendo la stabilizzazione e la concentrazione della mente;
- 觀 si compone di due caratteri: 見 indica il 'vedere', il 'guardare', mentre 雚 disegna un uccello particolare dell'ordine dei Ciconiformi che indica una visione panoramica di insieme e quindi complessivamente questi due caratteri suggeriscono di guardare i particolari differenti ma in una visione di insieme, e «nel nostro contesto - spiega Venturini - il cogliere le differenze tra i fenomeni mediante la meditazione analitica o discernimento, vedendoli come né esistenti, né non esistenti, ma dotati, in virtù di determinate cause e condizioni, di una esistenza simile a quella di un sogno.»