Campi profughi palestinesi
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I campi-profughi palestinesi furono creati dopo la guerra arabo-israeliana del 1948 per accogliere i rifugiati palestinesi fuggiti in seguito al conflitto (Nakba).
L'UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione) definisce un rifugiato palestinese nel modo seguente:
«I rifugiati palestinesi sono persone il cui normale luogo di residenza era la Palestina tra il giugno 1946 ed il maggio 1948, che hanno perso tanto le loro abitazioni quanto i loro mezzi di sussistenza come risultato della guerra arabo-israeliana del 1948.
Palestine refugees are persons whose normal place of residence was Palestine between June 1946 and May 1948, who lost both their homes and means of livelihood as a result of the 1948 Arab-Israeli War[1]»
Lo status di profughi palestinesi è diverso da quello di tutti gli altri profughi del mondo in quanto è ereditario.
L'UNRWA provvede al sostentamento di 59 campi profughi riconosciuti in Giordania, Libano, Siria, Cisgiordania e striscia di Gaza. Subito dopo il conflitto del 1948 soccorse direttamente quanti vivevano all'interno dello Stato d'Israele, fino a quando il governo israeliano se ne fece carico, nel 1952.
Perché un campo sia riconosciuto dall'UNRWA deve esistere un accordo con il governo ospitante in merito all'amministrazione e alla polizia, in quanto l'UNRWA non dispone di tali strumenti e si limita a fornire i servizi essenziali.
I campi profughi sono organizzati in tendopoli ma anche in sobborghi, solitamente fatiscenti, nelle periferie della città dei paesi che li ospitano. Siccome nel caso dei Palestinesi anche i discendenti dei rifugiati della guerra del 1948 sono ritenuti essi stessi rifugiati, è possibile che alcuni di questi ultimi vivano al di fuori dei campi profughi censiti e riconosciuti.
Il numero dei rifugiati palestinesi registrati è pertanto cresciuto dalla cifra di 914.000 nel 1950 a quella di oltre 5 milioni stimati nel 2012.[2]