De divinatione
opera di Marco Tullio Cicerone / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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De divinatione (in italiano "La divinazione") è la seconda delle tre opere teologiche[1] di Marco Tullio Cicerone, redatta in due libri e risalente ai primi mesi del 44 a.C., periodo in cui l'ultima dittatura di Cesare comportò l'allontanamento dell'autore dall'attività politica.[2] «Si può leggere quest'opera in due prospettive: come "fonte" per ricostruire la storia politico-religiosa e dell'arte di Cicerone, in uno dei periodi della sua vita più fecondi di opere e insieme più travagliati biograficamente e politicamente. Cicerone smaschera l'ipocrisia degli indovini, sostenendo che è meglio ammettere la propria ignoranza piuttosto che, per non volerla riconoscere, tentare l'ignoto e postulare la presenza del divino quando è proprio questo misterioso divino che inquina con dubbie pratiche la schiettezza della religione».[3]
La divinazione | |
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Titolo originale | De divinatione |
Un augure che impugna il lituo mentre trae un auspicium ex tripudiis osservando il beccare dei polli. Cicerone rivestì questa carica sacerdotale nel 53 a.C. | |
Autore | Marco Tullio Cicerone |
1ª ed. originale | 44 a.C. |
Editio princeps | Roma, Sweynheym e Pannartz, 27 aprile 1471 |
Genere | trattato |
Lingua originale | latino |
«Vetus opinio est iam usque ab heroicis ducta temporibus eaque et populi Romani et omnium gentium firmata consensu versari quandam inter homines divinationem, quam Graeci μαντικήν appellant, id est praesensionem et scientiam rerum futurarum.»
«È un'opinione antica, risalente ai tempi leggendari e corroborata dal consenso del popolo romano e di tutte le genti, che vi siano uomini dotati di una sorta di divinazione — chiamata dai greci mantiké —, cioè capaci di presentire il futuro e di acquisirne la conoscenza.»
(Marco Tullio Cicerone, De divinatione I,1)