Induismo in Kenya
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L'influenza dell'induismo in Kenya è iniziata all'inizio del primo millennio d.C. quando ci fu un ampio sviluppo commerciale tra l'Africa orientale e il subcontinente indiano[1]. L'evidenza archeologica ha permesso di dimostrare la presenza di piccoli insediamenti indù, trovati principalmente a Zanzibar e nelle zone immediatamente costiere del Kenya, come la costa abitata dagli Swahili, assieme a quelle dello Zimbabwe e del Madagascar[1]. Molte parole in lingua swahili hanno le loro radici etimologiche in lingue indiane associate con l'induismo[2].
Il Pew Research Center stima che ci siano stati almeno 60 000 indù in Kenya nel 2010, corrispondenti a poco meno dello 0,25% della popolazione totale[3]. Altre stime inseriscono un numero più alto, con oltre 200 000 indù presenti in Kenya (meno dell'1% della popolazione totale[1]), per lo più provenienti dal Gujarat e dagli stati a nordovest dell'India), risalenti a prima dell'ottenimento dell'indipendenza dal dominio coloniale dell'impero britannico nel 1963. Durante i conflitti politici che seguirono molti indù emigrarono dal Kenya verso l'Europa (soprattutto in Regno Unito) e in altri Paesi del Commonwealth.
A differenza del nord e nord-est dei paesi africani a maggioranza islamica che non consentono la costruzione di templi indù o la pratica libera della propria fede, il Kenya permette la libertà religiosa di praticare l'induismo; molte delle città del Kenya hanno un numero di templi provenienti da diverse scuole indù[4]. I templi indù in Kenya sono per lo più situati a nord e ad ovest del paese e sono in stile architettonico indiano.