Rioccupazione sovietica dei paesi baltici (1944)
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L'Unione Sovietica avanzò in gran parte del territorio dei Paesi baltici nel corso dell'offensiva del Baltico avvenuta nella tarda estate-autunno del 1944, a meno di un anno di distanza dal termine della seconda guerra mondiale. L'Armata Rossa riprese il controllo delle tre capitali baltiche, comportando l'arretramento della Wehrmacht verso ovest o verso nord come nel caso della sacca di Curlandia: i tedeschi e i collaborazionisti lettoni confinati nella regione continuarono a combattere i sovietici fino alla resa incondizionata della Germania (8 maggio 1945) e gli ultimi teutonici rimasti partirono dal porto di Liepāja il 9 maggio.[1] Una parte degli estoni e dei lettoni riuscì a fuggire in Svezia, subendo poco dopo un'estradizione che scatenò un incidente diplomatico.[2] Cessato il conflitto, i Paesi baltici tornarono ad essere repubbliche dell'URSS fino a quando non dichiararono la propria indipendenza nel 1990, anno in cui si verificò la dissoluzione dell'Unione Sovietica.
Mentre le fonti occidentali concordano sul ritenere l'ingresso dell'Armata Rossa nei Paesi baltici alla stregua di un'occupazione,[3][4][5][6][7][8][9] gli storici sovietici e più tardi il governo della Federazione Russa considerano l'annessione come legittima.[10][11][12][13][14]