Schiavitù negli Stati Uniti d'America
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La schiavitù negli Stati Uniti d'America fu un istituto previsto dalla allora vigente legislazione, durata per più di un secolo, da prima della nascita degli USA nel 1776, e continuata per lo più negli Stati del sud fino al passaggio del XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti nel 1865 a seguito della guerra civile.[1]
Tale forma di schiavismo consisteva nell'assoggettamento di persone acquistate in Africa da mercanti di schiavi per essere utilizzate come servitori domestici e come raccoglitori nelle piantagioni delle colonie. La prima colonia inglese dell'America del Nord, la Virginia, acquisì i primi schiavi nel 1619, dopo l'arrivo di una nave con un carico non richiesto di 20 africani,[2][3] dando vita così alla diffusione di quella che fino ad allora era una pratica delle colonie spagnole in Sudamerica.[4] Lo schiavismo interessò principalmente le zone in cui vi erano terreni fertili adatti per vaste piantagioni di prodotti molto richiesti, come tabacco, cotone, zucchero e caffè. Gli schiavi si occupavano dei lavori manuali: arare e raccogliere in questi vasti campi. L'efficienza del lavoro era supervisionata da sorveglianti, che si assicuravano, anche con mezzi violenti, che gli schiavi lavorassero il più possibile.
Prima della larga diffusione dello schiavismo "proprietario" (in cui chi acquisiva il "bene-schiavo" possedeva non solo lui ma anche la sua discendenza), molto del lavoro nelle colonie era organizzato con gruppi di lavoratori reclutati con il metodo della servitù debitoria. Questo metodo esistette per alcuni anni come forma di contratto di lavoro sia per i bianchi che per i neri. Gli "schiavi vincolati", così venivano definiti, pagavano il viaggio nelle colonie con il lavoro fino ad estinguere il debito, poiché la migrazione verso il Nordamerica era dettata spesso da una condizione di miseria e di povertà nel loro paese di origine.[5] Tra il 1680 e il 1700 gli schiavi iniziarono a sostituire i lavoratori debitori in molte delle colonie americane. Per l'importanza della schiavitù la House of Burgesses varò un nuovo codice degli schiavi nel 1705, riunendo la legislazione esistente nei secoli precedenti aggiungendovi i principi secondo cui la razza bianca era dominante e superiore nei confronti della razza nera. Dal XVIII secolo la normativa riguardante lo schiavismo era di tipo razziale, creando un sistema in cui gli schiavi erano principalmente africani e loro discendenti, e occasionalmente anche nativi americani, mentre le colonie spagnole abolirono la schiavitù dei nativi nel 1769.
Nel periodo che intercorre tra il XVI e il XIX secolo si stima che circa 12 milioni di africani siano stati trasportati nelle Americhe,[6][7] e di questi almeno 645.000 sono stati destinati nei territori che successivamente fecero parte degli Stati Uniti d'America.[8] Nel 1860 la popolazione di schiavi negli USA era cresciuta fino a 4 milioni.[9]
Lo schiavismo fu un tema controverso nella politica degli Stati Uniti dal 1770 al 1860, essendo oggetto di dibattiti ai tempi della redazione e della ratifica della Costituzione; oggetto di legislazione federale, come il divieto di importare schiavi del 1807, il Fugitive Slave Act del 1793 e la Fugitive Slave Law del 1850; e oggetto di decisioni della Corte Suprema, come la fondamentale sentenza Dred Scott del 1857. Gli schiavi cercarono di opporsi alla schiavitù con ribellioni e con la non collaborazione nei lavori, e alcuni riuscirono a scappare negli Stati in cui lo schiavismo era stato abolito o in Canada, favoriti dalla Underground Railroad. I sostenitori dell'abolizionismo ingaggiarono dibattiti politici in cui si richiamavano i principi morali violati dallo schiavismo e si incoraggiava la creazione di stati liberi da tale pratica (stati Free Soil) man mano che i territori verso ovest venivano occupati. La disputa morale sullo schiavismo fu uno dei principali motivi di attrito che portò alla guerra civile americana. A seguito della vittoria degli Stati dell'Unione lo schiavismo divenne illegale in tutti gli USA con la ratifica del 13° emendamento della costituzione,[10] ma la pratica persistette per alcuni anni con l'assoggettamento di nativi americani.